Uomini oppressi dalle donne nell’horror che diventa farsa
Álex de la Iglesia stravolge le regole tra antifemminismo, sberleffi e ironia
Campione di quello che una volta si sarebbe detto genericamente cinema demenziale e adesso invece «post-pulp» (per sottolinearne le componenti più apertamente splatter), Álex de la Iglesia si è conquistato un suo pubblico affezionato mescolando — a volte con genialità a volte con una certa stanchezza — humor nero, satira sociale, cinefilia citazionista e un certo gusto dell’orrido.
Qualità che in passato non sempre ha dato l’impressione di voler controllare e guidare (penso a film come El dia de la bestia o al troppo generosamente premiato da Tarantino Ballata dell’odio e dell’amore, Leone d’argento e Osella alla sceneggiatura a Venezia 2010) ma che invece in questo Le streghe son tornate trovando un loro giustificato e coerente utilizzo.
L’inizio è abbastanza fulminante. Nell’affollata Puerta del Sol di Madrid, un gruppo di folcloristici «attori di strada» tra cui spiccano un Gesù seminudo con tanto di croce svaligiano un negozio che compra e vende oro.
Il piano, organizzato nei dettagli, naturalmente non funziona come previsto e l’intervento della polizia dà il via a una sparatoria che semina confusione più che terrore e che porta all’arresto di alcuni dei complici. Non dei due capi che fuggono a bordo di un taxi: sono la «mente» del colpo, José (Hugo Silva), padre divorziato che si è trascinato dietro il figlio Sergio (Gabriel Delgado) perché in quel giorno toccava a lui la custodia, e il «braccio» Tony (Mario Casas), buttadentro in una discoteca e disoccupato cronico.
Alla guida dell’auto, rivelanpiù do doti da gran pilota e un certo disprezzo per la legalità e i suoi tutori, il tassista Manuel (Jaime Ordoñez).
Nella fuga verso il confine francese, con un borsone pieno di anelli d’oro e altri gioielli, vengono a galla le vere motivazioni del colpo. Che non sono dettate dall’avidità o dal malaffare ma piuttosto dalla voglia di rivalsa antifemminista. José detesta l’ex moglie Silvia (Macarena Gómez) almeno quanto lei lo considera irresponsabile, e il furto dovrebbe permettergli di pagare un avvocato per ottenere l’agognata custodia congiunta del figlio.
Tony, invece, si sente irrimediabilmente sottomesso alle donne, tanto da non sentirsi padrone della propria vita e inventarsi inesistenti lavori per essere all’altezza delle loro aspettative. E insieme finiscono per far venire a galla un medesimo senso di rivalsa antifemminista anche nel tassista, che da sequestrato si trasforma in complice della fuga.
Inseguiti, grazie ai localizzatori dei cellulari, dall’infuriata Silvia, a sua volta seguita da due folcloristici poliziotti, i fuggitivi commettono l’errore di fermarsi nel paesino basco di Zugarramurdi, che la tradizione vuole abitato da streghe. E in effetti, lo strano terzetto femminile che incontrano — Graciana (Carmen Maura), Marichu (Terele Pávez) e l’attraente Eva (Carolina Bang) — comincia a mostrare strane doti di «teletrasporto»… Inizia così una specie di discesa negli inferi che porta il film dai toni farseschi e pseudo-polizieschi dell’inizio a quelli sempre farseschi ma più decisamente fanta-horror della seconda parte, Tre uomini in fuga dopo una rapina si imbattono in un terzetto di streghe da evitare interessante da non perdere
capolavoro dove i miti popolari della stregoneria basca (nel 1610, l’Inquisizione bruciò realmente a Zugarramurdi undici persone accusate di stregoneria in una grotta oggi diventata attrazione turistica) offrono lo spunto al regista e al suo tradizionale cosceneggiatore Jorge Guerricaechevarriá per liberare tutto il loro gusto trasgressivo. Dove sangue, ironia, sberleffi e altre amenità seminal-stomacali si intrecciano senza limiti.
A farne le spese è soprattutto l’immagine femminile, vista qui come la culla di ogni nefandezza e sorgente dell’odio anti maschile. Ma sarebbe sbagliato leggere il film come un possibile manifesto «antifemminista», primo perché anche gli uomini non fanno certo una bella figura e poi perché il piacere dello sberleffo e della farsa prende il sopravvento su tutto, antropologia dei sessi e regole del politically correct comprese.
Meglio definire il film una specie di «vacanza» dalle regole, dove un certo piacere iconoclasta e trasgressivo (e divertente) manda a gambe all’aria ogni regola di buon senso e di buon gusto.
La rapina in un negozio poi la fuga nel paesino basco dove l’occultismo è di casa: viaggio in un gioco da antropologia dei sessi