Corriere della Sera

Blur, ritorno di pace: vogliamo salvare il rock Nuovo disco per il gruppo britannico. «Basta rivalità, sarebbe divertente un concerto con gli Oasis»

- Andrea Laffranchi

Come ti smonto gli anni Novanta in due mosse. Allora nel rock o stavi con gli Oasis o con i Blur. Quella rivalità potrebbe finire a tarallucci e vino. Da tempo Damon Albarn e Noel Gallagher hanno fatto pace, ma ora il leader dei Blur sarebbe disposto a mettere le due band sullo stesso palco. «Sembra un’idea sciocca, ma non sarei io a dire no. Sarebbe divertente: una sera apriamo noi e una sera loro. Però non canterei i loro pezzi… quello mi sembra troppo», dice il cantante della band a Milano per promuovere il nuovo «The Magic Whip».

A cancellare il Britpop, il movimento che riportò il rock inglese nel mondo, ci pensa allora Graham Coxon, il chitarrist­a del gruppo: «Per gli inglesi l’eredità degli anni Novanta è il film Austin Powers — spiega con quel suo fare stralunato —. Tutte le band, compresa la nostra, erano ossessiona­te dagli anni Sessanta. Negli Usa invece la musica era vista come arte e c’era un senso di cameratism­o fra i gruppi rock».

Autorevisi­onismo musicale, proprio nel momento in cui «Furioso» per il documentar­io sulla figlia Amy diretto da Asif Kapadia (autore nel 2010 di Senna, film sulla carriera del campione brasiliano di Formula 1): Mitch Winehouse minaccia i produttori di diffamazio­ne e di voler bloccare l’uscita del film, prevista nel Regno Unito il 3 luglio. L’uomo ha dichiarato al Sun che il film lo ritrae come un «padre assente», soprattutt­o nel periodo che precedette la morte di Amy (foto), scomparsa nel luglio 2011, a soli 27 anni, per abuso di alcol. A indignarlo anche le accuse dell’ex genero, Blake Fielder-Civil, che nel film lo incolpa di aver spinto la star nella spirale della depression­e. Amy verrà presentato il mese prossimo al Festival di Cannes. esce il nuovo album, il primo da «Think Tank» del 2003, il primo dopo 16 anni con Coxon di nuovo in formazione. Disco nato per caso.

Durante il tour in Asia del Albarn Oggi basta un computer per sentirti un musicista Mai fatto nulla per i soldi 2013, uno show cancellato regala alla band cinque giorni liberi. Prendono uno studio a Hong Kong e si mettono a suonare in libertà. Finito il tour tornano alle loro vite. Solo lo scorso novembre Graham decide di riprendere in mano quelle registrazi­oni e ne tira fuori una dozzina di brani. Che hanno la firma classica dei Blur con l’aggiunta delle mille esperienze, fra dance, opera e afro, fatte da Albarn. La «magica frusta» del titolo è una metafora dell’Oriente: «È esotico e colorato, ma sotto un po’ di strati senti la frusta del controllo. E il fatto che i nostri telefoni possano essere monitorati dice che anche noi abbiamo distrutto l’ideale della libertà personale».

Il rock sembra sparito dalle classifich­e sotto i colpi di rap, dance e pop. «Per esprimerti oggi ti basta un computer, fai musica senza confrontar­ti. Ecco perché non ci sono più band. Forse è tutto finito — riflette il cantante —. Noi non abbiamo mai fatto nulla solo per i soldi. Adesso vedo gente, un esempio è Rita Ora, il cui interesse Volti Da sinistra Dave Rowntree, Alex James, Graham Coxon e il leader Damon Albarn: i Blur si sono formati nel 1989, due anni dopo è arrivato l’album di debutto «Leisure» non è la musica ma la promozione di altri prodotti e marchi».

«My Terracotta Heart» è una ballad su due ragazzi, che «erano come fratelli anni fa». Come Damon e Graham. «La terracotta può durare migliaia di anni o rompersi con facilità estrema», racconta Albarn. La frase «ti sto perdendo ancora» fa tremare i fan. Graham è quello fragile. Anche quando parla sembra tormentato. «Sarei abbastanza sicuro nel dire che questo disco è la fine dei Blur». Poi piazza una delle sue battute indecifrab­ili: «Controller­ò il volere degli spiriti e ti dirò».

Non porta rancore agli amici che lo scaricaron­o durante le registrazi­oni di «Think Tank». «Avevo dei problemi (con l’alcool, ndr). Necessitav­o di una pausa. E, forse, anche gli altri avrebbero dovuto fermarsi. Ma allora era impossibil­e dire a una casa discografi­ca che volevi uno stop. Nel 2009 ci siamo rivisti e abbiamo parlato. Avevamo solo bisogno di dirci: “siamo più maturi, mi spiace se ho detto delle stupidate”».

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