Il torrione nordest è stato messo in sicurezza con 750 mila euro
Ore 9.01 del 29 maggio 2012: il campanile di Santa Barbara ha un violento scossone. Il lanternino sopra la cupola s’inclina. Ore 12.57: la seconda scossa lo fa crollare. Il profilo da cartolina di Mantova vista dai laghi è sfregiato. Il campanile della Basilica Palatina, tuttora «imbragato» e con la punta mutilata (i lavori per risistemarla sono partiti da poco), diventa il simbolo dei danni del sisma.
Tanti. In tutti e tre i nuclei di Palazzo Ducale: Corte Nuova, Corte Vecchia e il Castello di San Giorgio. L’allora soprintendente Giovanna Paolozzi Strozzi decide che la reggia non può restare chiusa a lungo. Con 300 mila euro della Direzione regionale per i beni culturali e 200 mila di donazioni private, in tre mesi riapre buona parte di Corte Vecchia. Per il Castello di San Giorgio il percorso è più tortuoso. I primi interventi partono a due anni dal sisma. Dopo sopralluoghi con ultrasuoni e raggi infrarossi, si comincia proprio dalla stanza affrescata da Mantegna, nel torrione nord est. Parte del pavimento è rimossa per posizionare una fascia in fibre d’acciaio lungo il perimetro: una sorta di imbragatura antisismica. Da lì i restauri proseguono, non senza ritardi e intoppi, lungo il percorso di visita: Sala dei Soli, Sala di Mezzo, Sala delle Cappe.
Per il resto del castello esiste un progetto e sono stati stanziati 1,5 milioni. I restauri sono firmati dall’università Iuav di Venezia: 750 mila gli euro messi a disposizione dal Mibac. Da qualche giorno la parete della Camera degli Sposi su cui è ritratta la corte dei Gonzaga, più sottile a causa del grande camino, è protetta da una rete di fili sottili di basalto, applicata al muro e bloccata con l’intonaco. Tutto, qui nella torre, sembra tornato come prima. Invece è pure meglio.
Era alla corte di Mantova da appena cinque anni, ma Pieter Paul Rubens si era conquistato l’assoluta fiducia del duca Vincenzo I: questi gli commissionava ritratti delicati e importanti sul piano politico, lo incaricava di scottanti «ambasciate» diplomatiche (a Madrid, per esempio), della compravendita di opere d’arte e, in ultimo, volle affidargli una sorta di «biografia pittorica» familiare, la Pala della Santissima Trinità.
Il 28enne Rubens intuì subito il desiderio di gloria imperitura del Gonzaga, quella volontà di trascendere il tempo con la forza di un nome e così ideò una imponente raffigurazione a più livelli: al centro, la Trinità in gloria; sulla sinistra Vincenzo, il committente (che osa guardare lo Spirito Santo); accanto, il defunto padre Guglielmo e, dietro, i figli Francesco IV, Ferdinando e Vincenzo II. Di fronte, la moglie Eleonora de’ Medici e la madre, Eleonora d’Austria. Dietro le due donne, ecco le giovani rampolle Margherita ed Eleonora. Ai lati, altre due enormi tele che oggi si trovano ad Anversa e a Nancy.
Ebbene, questa pala (oggi quel che ne rimane è a Palazzo Ducale) nei secoli si è trasformata in un puzzle d’arte e guerra e oggi si intreccia con il progetto della riapertura della Camera Picta. Vediamo come. Intanto, in epoca napoleonica, le tele laterali vennero asportate. Poi, nel 1801, la Pala venne fatta a pezzi da un generale che cercò di portarla via a brandelli
L’intervento Ricongiungimenti Nella collezione Freddi anche un frammento dell’opera che l’artista eseguì per Vincenzo I