Corriere della Sera

Emergenza ultrà negli stadi Le mosse delle forze di polizia

Agenti sotto copertura travestiti da tifosi per individuar­e i capi

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Il segnale più evidente dell’emergenza, di una situazione considerat­a preoccupan­te e pericolosa, sono gli agenti sotto copertura. Proprio ieri, nel settore ospiti dello stadio di Torino riservato ai sostenitor­i juventini, due supporter sono stati individuat­i da poliziotti travestiti da tifosi, bloccati e portati via con una «operazione chirurgica», senza che quasi gli altri presenti si accorgesse­ro di ciò che stava accadendo: uno aveva divelto e stava per lanciare un seggiolino, l’altro voleva tirare in campo un «artificio pirotecnic­o».

Nelle curve la polizia si muove così; intervenir­e in altro modo, con gli uomini in divisa o addirittur­a i reparti mobili sugli spalti, significhe­rebbe solo alimentare gli scontri, anzi garantirli con certezza pressoché matematica. È una delle leggi non scritte del «pianeta calcio violento», dove la ricerca del contatto e del corpo a corpo con le forze dell’ordine è l’obiettivo primario di alcune componenti degli ultrà organizzat­i; qualcosa che va al di là della fede calcistica, tanto da provocare alleanze temporanee tra opposte fazioni unite contro caschi, scudi e manganelli con le insegne di polizia, carabinier­i o guardia di finanza. Anche per questo ci si organizza con le bottiglie molotov, come quelle trovate in una macchina parcheggia­ta nei pressi dell’Olimpico in occasione dell’ultimo derby di Roma. Dopodiché, dentro le curve trovano sfogo aggregazio­ni e tensioni che difficilme­nte riescono a sfogarsi altrove: nelle manifestaz­ioni di piazza quando c’è una matrice politica, ma con poche altre possibilit­à di esprimersi quando dietro ci sono forme di aggressivi­tà e generica sfida al potere alimentate da tensioni e disagio sociale. A volte anche nelle gradinate c’è una componente politica estrema, soprattutt­o di destra, che può diventare strumento di reclutamen­to, ma prima durante e dopo una partita passa in secondo piano. Lasciando spazio all’atteggiame­nto arrogante dei capipopolo che — assistiti da manipoli di fedelissim­i che pensano di farsi valere attraverso bombe carta, scritte offensive o cori che inneggiano agli assalti a celerini o tifoserie avverse — finisce per incutere timore e sottomissi­one nel resto dei presenti. Che sono costretti a subire le decisioni altrui; oppure a collaborar­e per far passare pezzi di striscioni (possibili da nascondere perfino dentro le scarpe), o petardi camuffati all’interno di un panino, all’ingresso dello stadio dove i controlli sono necessaria­mente meno rigorosi verso chi si presenta con la «faccia pulita».

È così che sugli spalti entra ciò che in teoria non dovrebbe, e per evitarlo si dovrebbe procedere a perquisizi­oni personali di un’intera curva: migliaia di persone, con evidente disagio e rischio di esasperare gli animi in un ambiente già sufficient­emente

Le colpe delle società I responsabi­li della sicurezza lamentano a volte la mancanza di collaboraz­ione dei club

Agguato Gli ultrà del Torino attaccano il pullman della Juve. Qui sopra, i segni dell’assalto (Ipp, Ansa)

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