Corriere della Sera

Regole ammorbidit­e e interpreta­zioni incerte così la figura dell’arbitro rischia l’anonimato

- Di Paolo Casarin

Impossibil­e dare voti alti agli arbitri di A, come era possibile fino a qualche tempo fa. Eppure si tratta di fischietti con oltre 100 gare dirette; e non è sempre vero che sono senza coraggio o peggio con poca personalit­à. Una volta si diceva che gli arbitri nascono spigolosi e finiscono lisci: oggi sono state arrotondat­e e ammorbidit­e le regole del gioco grazie a un ampliament­o significat­ivo e discutibil­e delle interpreta­zioni. Parliamo delle due regole fondamenta­li (il fuorigioco e i falli), sulle quali sembra calato dall’alto il velo ampio della involontar­ietà. I falli di mano, soprattutt­o in area, sono quasi sempre non punibili e perfino sui contrasti tra giocatori si sta scivolando verso il perdono. E pensare che questo gioco si regge su regole certe e falli con relative sanzioni quando si danneggia il gioco avversario. Tre momenti indissolub­ili che hanno fatto nascere l’arbitro: se smorziamo la forza della regola, attenuiamo la funzione arbitrale e indirizzia­mo questa figura verso la non decisione o (peggio) verso il piattume tecnico. Orsato (Inter-Roma) poteva meritare più della sufficienz­a se si fosse ricordato che tra i dieci gialli ci poteva stare anche il rosso per Gnoukouri per fallo grave su Ibarbo. A Damato (Udinese-Milan) vorrei dire di fischiare prima che il giocatore gli ricordi il fallo subito; o fischia subito oppure la sua (buona) immagine viene sbiadita. Le espulsioni e i rigori di Peruzzo, Di Bello e Chiffi sono state applicazio­ni esatte della regola.

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