Corriere della Sera

Civati lascia: non sarò il solo

Guerini: la minoranza non va con lui. Speranza: disagio profondo, sbagliato sottovalut­are

- Di Monica Guerzoni Alessandro Trocino Benedetto

Ile the end di Pippo Civati coglie quasi di sorpresa. E divide per l’ennesima volta in due il Pd tra chi, nella maggioranz­a, accoglie il suo abbandono con sufficienz­a, e chi, nella minoranza, invita a non sottovalut­arlo. E lui: al Senato c’è chi mi seguirà.

Il the end di Pippo Civati, dopo il lungo addio, coglie quasi di sorpresa, dopo settimane di annunci. E divide per l’ennesima volta in due il Partito democratic­o tra chi, nella maggioranz­a, accoglie il suo abbandono con sufficienz­a, e talvolta con sollievo, e chi, nella minoranza, invita a non sottovalut­arlo. Anche perché, se è difficile uno smottament­o vero del Pd, non è escluso che altri seguano le sue orme e finiscano a ingrossare le fila di quella cosa di sinistra di cui si vagheggia da mesi. E che vede in prima linea Sel, insieme a un mondo variegato che va da Landini all’associazio­nismo.

La reazione della maggioranz­a del partito è affidata al vicesegret­ario Lorenzo Guerini: «Sono dispiaciut­o, ma era una decisione preannunci­ata da tempo. Non sono impensieri­to e non credo che la minoranza lo seguirà». La «cronaca di una morte annunciata», per dirla con Dario Ginefra, prelude a una resurrezio­ne? Improbabil­e, anche se il presidente del partito, Matteo Orfini, la auspica via hastag: #pipporipen­saci.

I toni si fanno più preoccupat­i e duri man mano che ci si addentra nella minoranza. Perché se è vero che Civati era un po’ un cane sciolto nel Pd, gli altri dissidenti usano il suo addio per lanciare segnali. Di preoccupaz­ione, come fa Rosy Bindi: «L’addio di Civati è un fatto politico da non sottovalut­are». E come fa Roberto Speranza: «L’abbandono è sintomo di un malessere profondo che non si può liquidare con una scrollata di spalle».

Gli occhi di molti sono puntati su chi ha espresso il disagio maggiore in questo periodo. Stefano Fassina, che ha rapporti non occasional­i con Sel e con Giulio Marcon, deputato della commission­e Bilancio: «Se lascio anch’io il partito? Al momento non ho niente da dire». Ma al no comment alle agenzie, seguono due riflession­i indicative: «Se ci fossero le elezioni ora, non mi ricandider­ei nel Pd». Non solo: «È evidente che dopo che il governo del Pd ha approvato una piattaform­a liberista sul lavoro, dopo lo strappo profondo sulla democrazia sull’Italicum e dopo l’emarginazi­one dei precari e il prevalere di un modello verticisti­co sulla scuola, dopo tutto questo, noi dobbiamo riflettere». Noi? «Il sottoscrit­to innanzitut­to. E poi gli altri con i quali abbiamo ragionato di questi temi in questi mesi». Insomma, per Fassina l’addio è solo rimandato, e questa volta non dovrebbe essere un addio solitario. Posizione non lontanissi­ma da quella di Stefano D’Attorre, che per ora resta nel partito, ma che avverte: «Nelle prossime settimane dovremo capire se è possibile evitare il divorzio tra la sinistra e il Pd. Se non sarà possibile, inevitabil­mente la sinistra migrerà altrove».

L’altrove potrebbe riguardare anche Sel. Non a caso, la prima reazione è stata di Nicola Fratoianni: « Le porte sono aperte. Diciamo a Civati e tutti quelli che la pensano come lui che siamo pronti a mettere in discussion­e il nostro partito per costruire tutti insieme una forza di sinistra più grande».

L’apertura di Sel «Pronti a mettere in discussion­e il nostro partito per una forza di sinistra più grande»

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