Civati lascia: non sarò il solo
Guerini: la minoranza non va con lui. Speranza: disagio profondo, sbagliato sottovalutare
Ile the end di Pippo Civati coglie quasi di sorpresa. E divide per l’ennesima volta in due il Pd tra chi, nella maggioranza, accoglie il suo abbandono con sufficienza, e chi, nella minoranza, invita a non sottovalutarlo. E lui: al Senato c’è chi mi seguirà.
Il the end di Pippo Civati, dopo il lungo addio, coglie quasi di sorpresa, dopo settimane di annunci. E divide per l’ennesima volta in due il Partito democratico tra chi, nella maggioranza, accoglie il suo abbandono con sufficienza, e talvolta con sollievo, e chi, nella minoranza, invita a non sottovalutarlo. Anche perché, se è difficile uno smottamento vero del Pd, non è escluso che altri seguano le sue orme e finiscano a ingrossare le fila di quella cosa di sinistra di cui si vagheggia da mesi. E che vede in prima linea Sel, insieme a un mondo variegato che va da Landini all’associazionismo.
La reazione della maggioranza del partito è affidata al vicesegretario Lorenzo Guerini: «Sono dispiaciuto, ma era una decisione preannunciata da tempo. Non sono impensierito e non credo che la minoranza lo seguirà». La «cronaca di una morte annunciata», per dirla con Dario Ginefra, prelude a una resurrezione? Improbabile, anche se il presidente del partito, Matteo Orfini, la auspica via hastag: #pipporipensaci.
I toni si fanno più preoccupati e duri man mano che ci si addentra nella minoranza. Perché se è vero che Civati era un po’ un cane sciolto nel Pd, gli altri dissidenti usano il suo addio per lanciare segnali. Di preoccupazione, come fa Rosy Bindi: «L’addio di Civati è un fatto politico da non sottovalutare». E come fa Roberto Speranza: «L’abbandono è sintomo di un malessere profondo che non si può liquidare con una scrollata di spalle».
Gli occhi di molti sono puntati su chi ha espresso il disagio maggiore in questo periodo. Stefano Fassina, che ha rapporti non occasionali con Sel e con Giulio Marcon, deputato della commissione Bilancio: «Se lascio anch’io il partito? Al momento non ho niente da dire». Ma al no comment alle agenzie, seguono due riflessioni indicative: «Se ci fossero le elezioni ora, non mi ricandiderei nel Pd». Non solo: «È evidente che dopo che il governo del Pd ha approvato una piattaforma liberista sul lavoro, dopo lo strappo profondo sulla democrazia sull’Italicum e dopo l’emarginazione dei precari e il prevalere di un modello verticistico sulla scuola, dopo tutto questo, noi dobbiamo riflettere». Noi? «Il sottoscritto innanzitutto. E poi gli altri con i quali abbiamo ragionato di questi temi in questi mesi». Insomma, per Fassina l’addio è solo rimandato, e questa volta non dovrebbe essere un addio solitario. Posizione non lontanissima da quella di Stefano D’Attorre, che per ora resta nel partito, ma che avverte: «Nelle prossime settimane dovremo capire se è possibile evitare il divorzio tra la sinistra e il Pd. Se non sarà possibile, inevitabilmente la sinistra migrerà altrove».
L’altrove potrebbe riguardare anche Sel. Non a caso, la prima reazione è stata di Nicola Fratoianni: « Le porte sono aperte. Diciamo a Civati e tutti quelli che la pensano come lui che siamo pronti a mettere in discussione il nostro partito per costruire tutti insieme una forza di sinistra più grande».
L’apertura di Sel «Pronti a mettere in discussione il nostro partito per una forza di sinistra più grande»