Il governo di Netanyahu appeso a un solo voto
L’alleanza si sfalda: Lieberman all’opposizione, fragile maggioranza con i coloni
Un solo deputato in più per garantirsi la maggioranza. Da stravincitore delle elezioni alla metà di marzo Benjamin Netanyahu si è ridotto a negoziatore delle ultime ore. Perché la coalizione ha perso un socio — l’oltranzista Avigdor Lieberman che ha rinunciato al ministero degli Esteri e ha portato il suo partito all’opposizione — ed è composta da politici con obiettivi troppo diversi: le riforme sociali volute da Moshe Kahlon, gli ultraortodossi che hanno ottenuto più di tutti, i religiosi nazionalisti. Il Likud di Netanyahu sembra rimasto preso in mezzo.
Il premier ha potuto annunciare al presidente Reuven Rivlin di aver raggiunto un accordo ormai alla scadenza del tempo che gli era stato concesso. Alla fine ha dovuto cedere alle richieste — «estorsione» la definiscono i suoi consiglieri — di Naftali Bennett, il capo del partito dei coloni, che ha ottenuto il ministero della Giustizia per Ayelet Shaked: le sue posizioni estremiste preoccupano già gli attivisti per i diritti civili, anche se il primo ministro ha posto dei limiti al mandato. La mossa di Liberman è stata giudicata un attentato suicida: il suo partito (che rappresenta gli immigrati dall’ex Unione Sovietica) rischia di scomparire all’opposizione. Eppure la voglia di danneggiare il primo ministro (hanno lavorato insieme, si conoscono da venticinque anni) sembra aver motivato più di qualsiasi altra considerazione il politico ex buttafuori che in campagna elettorale aveva proposto di «decapitare» gli arabi israeliani non fedeli allo Stato.
«Netanyahu arriva al traguardo finale — commenta Yossi Verter su Haaretz — esausto e dopo aver svenduto molti possedimenti preziosi che aveva garantito al suo Likud». Nei prossimi mesi spera di poter convincere i laburisti a entrare in un governo di unità nazionale per rafforzarsi e limitare le pretese dell’estrema destra. Altrimenti il suo governo rischia di non durare a lungo.
@dafrattini