Corriere della Sera

E D’Alema raccontò: «Spezzo i tappi di ferro Fini non è capace»

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La prima volta che andò ospite a casa Angiolillo, nel novembre 1995, D’Alema rivelò da dove nasceva il nomignolo di «Spezzaferr­o» che era comparso sui giornali: «Per allentare la tensione, spezzo con le mani in otto frammenti i tappi dell’acqua minerale». E aggiunse serio: «Fini non ne sarebbe capace». Nessuno osò indagare sui retroscena di tanta sicurezza. A tavola, si parlò a lungo delle proposte di Maccanico per salvare la legislatur­a e ipotizzare un nuovo governo. E alla fine della colazione, D’Alema s’appartò con Letta: «Se raggiungia­mo un accordo in camera caritatis su un paio di punti...». Il primo riguardava una qualche sistemazio­ne del conflitto d’interessi di Berlusconi, il secondo alcuni aggiustame­nti costituzio­nali che fossero digeribili per la sinistra. D’Alema chiese tre mesi di tempo per verificare la tenuta dell’accordo e questo indispettì molto i «falchi» del Polo, guidati da Giuliano Ferrara che ben tenevano a mente l’impegno di far dimettere il governo Dini entro l’anno. Ma al pranzo natalizio di Maria, il 12 dicembre del ’95, il presidente del Consiglio Lamberto Dini si presentò in grandissim­o spolvero, accompagna­to dalla moglie Donatella in abito lungo di velluto e fasciata sul collo da un prezioso monile come non se ne vedevano da molto nei tre tavoli del Villino Giulia. La padrona di casa aveva fatto le cose in grande. Nella sala da pranzo gli ospiti trovarono alberi spuntati da una meraviglio­sa foresta sommersa: la forma delle chiome bruno-amaranto era perfettame­nte sferica e i frutti erano conchiglie e stelle marine. Dini era felice: aveva appena incassato il voto favorevole di Fausto Bertinotti in una mozione di sfiducia presentata dal centrodest­ra. «Il rospo è diventato principe» ironizzaro­no i giornali ricordando i giudizi di Rifondazio­ne sul governo. Ma le minacce di D’Alema e Veltroni a Bertinotti erano evidenteme­nte state convincent­i. La politica, pero, è una donna infedele e trenta giorni esatti dopo il festoso pranzo natalizio al Villino Giulia, Dini dovette dimettersi. Il tentativo di Maccanico cadde per uno sgambetto che gli fece Scalfaro al momento in cui gli conferì l’incarico di formare il nuovo governo, il 1° febbraio 1996: tagliò dalla dichiarazi­one di rito la parola «semipresid­enzialismo» e questo autorizzò Fini e Casini a boicottare un governo di larghe intese che li avrebbe visti in posizione marginale. La rinuncia avvenne mercoledì 14 febbraio, amarissimo giorno di San Valentino...

( tratto da «La signora dei segreti» di Candida Morvillo e Bruno Vespa, Rizzoli)

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