L’Italia celebra il Codice (e a Venezia il Codice trova il suo Manifesto)
curato da Hans-Ulrich Obrist (in memoria dello storico marxista britannico Eric Hobsbawn), e che verrà presentato ufficialmente domani nel corso dell’inaugurazione ufficiale del Padiglione Italia, non potrebbe essere migliore «appendice» al progetto messo in cantiere da Vincenzo Trione.
Scaturita quasi per scherzo da una conversazione con Umberto Eco (nella quale si lamentava per la scomparsa della scrittura manuale), l’idea dell’elvetico Obrist si è qui trasformata in un gioco della memoria a cui hanno partecipato una trentina tra scrittori, artisti, intellettuali. A loro è stato chiesto di scrivere (naturalmente a mano) un pensiero appunto sulla memoria e di fermarlo su un post-it. Un gioco che ha coinvolto, tra gli altri, Gillo Dorfles, Claudio Magris, Jacques Herzog, David Lynch, Ragmar Kjartansson, Donald Sasson.
Leggere le loro variazioni sull’idea del ricordo può davvero rivelarsi sorprendente: per lo scrittore inglese Jeremy Millar, ad esempio, «la memoria è un negozio di ferramenta dove gli scrittori cercano di prendere la roba gratis finché tirano fuori l’asse che stava in fondo alda la pila e gli cade in testa tutta la sofferenza».
Partendo da questo Manifesto inevitabilmente fatto di frammenti di memoria (e che farà parte del catalogo di Codice Italia pubblicato da Bompiani) il passaggio alla installazione omaggio firmata da Peter Greenaway che apre il Padiglione Italia, appare logico: coloratissimo, pieno di suoni, scandito dei capolavori di Piero di Cosimo come di Masaccio, celebra la forza dell’immagine classica e allo stesso tempo il suo futuro.
L’isola movimentata del regista inglese rappresenta un buon punto di connessione tra il resto della Biennale, con la sua ricchezza di problematiche e la varietà delle sue installazioni free style, e la
Quindici personalità più tre hanno interpretato il tema e su tutti spicca il genio di Jannis Kounellis