Il traguardo della collana «Memoria»: la testimonianza della giallista spagnola Mille copertine, una rapsodia in blu La scommessa vinta di donna Elvira
Il programma era il seguente: avremmo preso l’aperitivo in casa della signora Sellerio insieme ad Antonio, e poi avremmo cenato in casa di una vecchia amica della signora. In quell’occasione io ero con Carlos, mio marito.
Arrivammo a casa della signora, ci furono le presentazioni e i convenevoli di rito. Antonio era di ritorno da una partita di pallone che aveva perso, insieme ad alcuni amici. Io presi una birra, e solo Carlos accettò il dry Martini che la padrona di casa si offerse di prepararci. Mio marito ed io osservammo come faceva: sciacquò lo shaker con il Martini, poi lo vuotò in un recipiente, quindi tornò a riempirlo di gin puro. Lo sguardo che ci scambiammo Carlos ed io non poteva essere più eloquente. Bevemmo tutti alla salute della letteratura e, dopo aver vuotato il loro bicchiere, Elvira e Carlos si lanciarono in un secondo dry. Quanto mi piacque, accidenti! Sono stanca di gente politicamente corretta che non ha il coraggio di bere comme il faut. (...)
Da quel momento cominciò a svilupparsi una reciproca corrente di simpatia, per quanto ancora discreta. Elvira aveva le mani coperte da un paio di mezzi guanti neri che le lasciavano libere le dita, era bella e aveva occhi penetranti che ti mettevano a nudo in un secondo. Dopo l’aperitivo, andammo in automobile a casa dell’amica. (...)
Alla cena erano invitati anche un paio di professori universitari di età avanzata. Uno di quei signori, dal temperamento piuttosto impetuoso, insisteva nel rinfacciarmi la sanguinosa storia di Spagna, come se io fossi la responsabile dei molti eccessi che erano stati commessi nel mio Paese. Io gli rispondevo, tentando di far fronte alla tempesta con i miei Foto grande: con Elvira, in piedi Enzo Sellerio e Sciascia. Sopra, libri di Gesualdo Bufalino e Antonio Tabucchi poveri mezzi, ma a un certo punto della discussione il professore si concentrò sulla guerra civile dicendo che gli spagnoli si erano macchiati della più grande barbarie possibile: la lotta fratricida, il che permetteva di affermare che nessuna delle due parti era innocente.
Mi arrabbiai. Mi arrabbiai moltissimo e cominciai a prendermela con Mussolini e la – necessaria? – colpevolezza degli italiani. Dio!, ancora adesso penso che dovevo essere impazzita. Come può essermi venuto in mente di tirare in ballo Mussolini proprio in Italia, e a una cena tra amici alla quale ero cortesemente invitata? Ma, all’improvviso, guardai per un attimo Elvira e vidi che, con gli occhi socchiusi e il pugno serrato, diceva a mezza voce: «Brava, brava!». Mi sentii giustificata all’istante. In ogni caso, tutto finì con un ritorno generale alla pace civilizzata.
Prima che ci salutassimo, Elvira ebbe con me un lungo colloquio a quattr’occhi. «Parliamo di lavoro» mi disse, e mi fece notare la progressiva crescita delle tirature dei miei libri. «Però ti dico che questo è solo l’inizio; i tuoi lettori diventeranno molti, molti di più».
Non ho idea di che faccia avessi fatto a quella predizione, ma so che lei, sempre spiritosa, aggiunse: «Il tuo sorriso è come quello della Gioconda; ma non essere scettica, e in futuro ricordati di quello che ti ho detto». Ci baciammo, nel separarci, e ci stringemmo la mano così forte da farci male. Ci rivedemmo una volta soltanto, ma parlammo per telefono in molte occasioni. La sua predizione sulla crescita dei miei lettori in Italia si avverò.
Durante uno dei miei viaggi promozionali a Roma, quando ormai era evidente che i lettori mi dimostravano molto, molto affetto, al mio ritorno in albergo trovai un enorme mazzo di rose bianche.
Lo aveva mandato Elvira Sellerio. Aveva scritto su un biglietto: «Metto queste rose nelle tue mani. Ai tuoi piedi, c’è l’Italia intera». Poi aveva aggiunto, tra parentesi: «Te l’avevo detto».