Prove di resistenza del bipartitismo
Da toriese whigsnell’800 all’irruzione dei laburisti fino alla frammentazione Londra non è più la stessa
Sembrano
passati secoli da quando Winston Churchill veniva mandato provvisoriamente a casa nel 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, dal leader laburista Clement Attlee (nella foto: due pensionati all’uscita da un seggio di Chelsea, a Londra).
Dimentichiamo Winston Churchill , Margaret Thatcher e Tony Blair. Le loro leggendarie vittorie, le loro inaspettate sconfitte. La Gran Bretagna di oggi è un Paese complesso, che ha bisogno di alleanze. Il bipartitismo che ha alimentato per decenni il suo sistema politico — radicato nella storia della rappresentanza sociale, fin dalla secolare contrapposizione tra whig e tories, e sostenuto dal sistema elettorale maggioritario a turno unico — necessita contrappesi, deve essere corretto. Lo si era già visto nelle precedenti elezioni, quando i conservatori di David Cameron si trovarono costretti a formare un esecutivo con i liberaldemocratici di Nick Clegg. Fu l’inizio di un processo che sembra aver trovato ieri la sua conferma.
Ci vuole dunque l’Italicum anche a Londra? Sarebbe un paradosso se si dovesse avverare la profezia di Matteo Renzi secondo cui molti all’estero avrebbero un giorno invidiato la legge elettorale approvata nei giorni scorsi dal nostro Parlamento con il suo premio di maggioranza al partito che supera il 40 per cento dei suffragi. Sta di fatto, però, che le nuove realtà emerse nell’ultima fase della politica britannica – dalla recrudescenza delle spinte secessioniste scozzesi dopo la sconfitta referendaria all’affermarsi del populismo dell’Ukip — rendono sempre più difficile il mantenimento senza ripensamenti di uno status quo che sta dimostrando rilevanti dosi di inadeguatezza.
Certo, non è detto d’altra parte che i governi di coalizione debbano essere per forza un punto di debolezza. Anzi, sono state molte le voci che in queste ultime settimane avevano sottolineato i meriti dell’azione di moderazione che una terza forza può compiere nei confronti dei grandi partiti. Il centrismo è arrivato a Londra.
Conservatori e laburisti non sono più, da tempo, i protagonisti assoluti della politica. Naturalmente si tratta di un fenomeno non solo britannico, se è vero per esempio che in Germania cristiano-democratici e socialdemocratici rappresentavano fino a pochi anni fa oltre i due terzi dell’elettorato e oggi si spartiscono ormai soltanto poco più della metà dei consensi. Anche se l’Economist spacca il volto di Cameron e quello di Ed Miliband, colorando una metà di rosso e l’altra di blu, i programmi elettorali dei due partiti hanno provocato perplessità trasversali sul fronte dei rapporti con l’Europa e su quello dell’economia. Lo stesso endorsement del settimanale, che ha scelto il primo ministro uscente e si è espresso per un proseguimento della coalizione a guida conservatrice, è sembrato più nutrito di dubbi che di certezze.
Tutto sta cambiando. Perfino il grande tema della permanenza del Regno Unito nell’Ue, destinato ad esplodere con tutta la sua forza dopo il voto di ieri, è stato gestito con prudenza dal Partito laburista, sicuramente preoccupato dei sentimenti anti-europei emersi nell’opinione pubblica. Non è più tempo di visioni del mondo contrapposte.
Sembrano passati secoli da quando Winston Churchill veniva mandato provvisoriamente a casa nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, dal laburista Clement Attlee. «L’uomo che aveva governato la Gran Bretagna nel momento di maggiore pericolo — ha scritto Sergio Romano — non era necessariamente il più adatto a governare il Paese in tempo di pace. I giovani che avevano rischiato la loro vita non volevano tornare a vivere e lavorare in un Paese dove i ceti sociali più ricchi ed influenti avevano una posizione privilegiata nella gerarchia sociale. Volevano più uguaglianza, più diritti, una vita migliore per se stessi e per i loro figli».
Lo statista un tempo amato e ammirato tornò pero alla guida del governo nel 1951 e accettò lo stato sociale creato dal suo predecessore. «Questa è la democrazia » , fu il suo commento all’indomani della sconfitta. «Questa è l’alternanza» è stata la percezione del mondo, spesso non priva di invidia, quando conservatori e laburisti si sono avvicendati negli anni successivi a Downing Street.
L’era thatcheriana e quella di Tony Blair (alcuni dei cui capisaldi non hanno perso la loro forza esemplare) hanno però consolidato nell’immaginario collettivo, poi, un’idea di Gran Bretagna che è molto lontana da quella attuale. Oggi l’immigrazione, il localismo, l’ambientalismo e la tentazione dell’isolazionismo hanno cambiato completamente l’agenda della politica. Il solo fatto che un governo come quello di Cameron e Clegg, pur avendo compiuto passi significativi sulla strada del dimezzamento del deficit e della promozione della crescita, abbia faticato, ma sembra alla fine essere riuscita, a fare accettare i suoi meriti, è la dimostrazione di una oggettiva difficoltà nel rapporto con l’opinione pubblica. E’ difficile ottenere e mantenere il consenso. Gli elettori non sono più fedeli. Come l’ispettore John Rebus, lo scorbutico investigatore creato dallo scrittore di Edimburgo Ian Rankin. Sembra che sia andato a votare solo tre volte, e per tre partiti diversi.
@Paolo_Lepri