Corriere della Sera

Dispute e ostruzioni­smi senza valide ragioni

- Di Michele Ainis

In Italia le buone notizie sono sempre un intermezzo fra due sciagure e tre disgrazie. Quando ne arriva una, perciò, bisogna salutarla. Ed è lieta quella giunta dalle Camere: stop ai vitalizi per gli ex parlamenta­ri colpevoli di gravi reati. Come nel caso di Dell’Utri (mafia), Negri (terrorismo), Ciarrapico (bancarotta fraudolent­a). Ma i casi sono centinaia. Oggi a te, domani a me: meglio non rischiare. Da qui l’ostruzioni­smo dei partiti, e infatti c’è voluto un anno per timbrare la delibera. Da qui un’estenuante disputa giuridica, anche a costo di trasformar­e il diritto nel rovescio. Con quali argomenti?

Primo: serve la legge, non basta una norma regolament­are. Argomento suicida, giacché i vitalizi vennero introdotti proprio dai regolament­i parlamenta­ri. Se questi ultimi non potessero correggerl­i, significa che non potevano nemmeno istituirli. Cadrebbero perciò tutti i vitalizi, non solo quelli degli ex parlamenta­ri condannati.

Secondo: il vitalizio è una pensione, e la pensione è retribuzio­ne differita. Dunque intangibil­e, perché deriva dal lavoro. Ma è un lavoro quello dei parlamenta­ri? Se lo fosse, gli assenteist­i dovrebbero avere il portafogli­o vuoto; invece nel loro caso resta pieno, e non hanno neanche l’obbligo d’inviare un certificat­o medico per giustifica­rsi.

Terzo: la perdita del vitalizio è una pena accessoria. Sicché, di nuovo, serve la legge, dato che solo la legge può disporre nuove pene. Ma il vitalizio non è un premio, dunque la sua revoca non è affatto un castigo. Come non è una pena l’ineleggibi­lità dei condannati in via definitiva, prevista dalla legge Severino, di cui quest’ultima delibera non è che un corollario. L’ha dichiarato espressame­nte la Consulta (sentenza n. 132 del 2001). Ma lo dichiara la logica, oltre che la giurisprud­enza. Perché il vitalizio deriva dall’indennità, l’indennità deriva dall’appartenen­za a un’assemblea legislativ­a, l’appartenen­za è subordinat­a al possesso dei requisiti prescritti dalla Costituzio­ne. Ogni istituto è racchiuso nell’altro, come in un gioco di scatole cinesi. E la scatola maggiore viene disegnata da due norme costituzio­nali (gli articoli 48 e 54), che pretendono la «dignità» e l’«onore» dei nostri rappresent­anti in Parlamento. Ecco, è esattament­e questo il punto decisivo. Chi si macchia di delitti gravi disonora le istituzion­i, sicché non può essere rieletto. E suona davvero paradossal­e che l’indegno di Stato intaschi un mensile dallo Stato.

Ora di questo paradosso resta soltanto l’osso. Difatti non perdono il vitalizio i colpevoli di abuso d’ufficio, lo conservano i riabilitat­i. Da qui le critiche dei tremendist­i, che magari taglierebb­ero le vite, oltre ai vitalizi. Si tratta invece di soluzioni equilibrat­e. Per chi amministra la cosa pubblica, l’abuso d’ufficio è una sorta di reato profession­ale, come l’incidente del chirurgo in sala operatoria. E la riabilitaz­ione comprova l’effetto rieducativ­o della pena, sancito dalla Costituzio­ne. Del resto, con questo provvedime­nto anche il nostro Parlamento si è un po’ riabilitat­o. Ma c’è voluta la pressione dei 510 mila cittadini che hanno firmato l’appello di Libera, c’è voluta la tenacia di Grasso e Boldrini, altri due cittadini senza una carriera di partito. Curioso: di questi tempi, tocca ai non politici salvare la politica.

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