Corriere della Sera

La politica dell’assenza a Mosca tradisce la Storia

Memoria Quella del 1945 fu una vittoria comune contro il nazifascis­mo. Essere alla parata di Mosca non significa appoggiare le politiche di Putin, ma ricordare i 20 milioni di russi morti senza i quali l’Europa oggi sarebbe diversa

- Di Franco Venturini

Imassimi dirigenti dell’Occidente non assisteran­no alla parata militare che celebrerà domani, sulla Piazza Rossa, il 70° anniversar­io della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Il giorno dopo, domenica, sarà in visita a Mosca la cancellier­a Angela Merkel, portatrice delle pesanti memorie tedesche e messaggera del desiderio di pace della Germania di oggi. Il ministro degli Esteri italiano Gentiloni e il suo collega francese Fabius hanno deciso alla venticinqu­esima ora: domani deporranno una corona di alloro alla tomba del Milite ignoto, nel giardino Aleksandro­vskij.

N on possono essere esclusi altri compromess­i formali, ma il fatto rimane: all’evento centrale della celebrazio­ne l’Occidente non ci sarà

Eppure, come tutti sanno, quella del 1945 contro il nazifascis­mo fu una vittoria comune. Stalin non piaceva a Roosevelt e a Churchill, ma era indispensa­bile per battere Hitler. E senza nulla togliere agli altri protagonis­ti del successo — non è certo il caso di dimenticar­e che l’Europa occidental­e fu liberata da americani e britannici — sarebbe ingiusto disconosce­re oggi quale fu allora il contributo dell’Unione Sovietica, di cui la Russia è legittima erede. Senza i venti milioni di morti sovietici difficilme­nte le divisioni naziste sarebbero state fermate e poi battute. Senza l’eroica resistenza di Stalingrad­o, senza il lungo e vano assedio a Leningrado (dove il numero dei morti superò la somma di quelli americani e inglesi in tutta la guerra), Hitler non avrebbe fatto la fine di Napoleone e la Storia sarebbe stata diversa.

Ricordare i fatti non significa plaudere a Stalin o trascurare quanto di inaccettab­ile lui e i suoi successori imposero alla «liberata» Europa dell’Est. Non significa, penso alla Polonia, cancellare dalla memoria le fosse di Katyn o l’Armata Rossa ferma sull’altra sponda della Vistola per dare ai tedeschi il tempo di distrugger­e Varsavia. E non significa neppure sottovalut­are oggi il contenuto ipernazion­alistico della parata, l’annessione della Crimea, gli aiuti di Mosca alla rivolta dell’Ucraina orientale. Ma il peso della Vittoria del 1945 dovrebbe prevalere. Così fu nel giugno dello scorso anno, quando Hollande invitò Putin alle celebrazio­ni per lo sbarco alleato in Normandia e Putin andò. Tutto questo tre mesi dopo l’annes- sione della Crimea. Nessuno gridò allo scandalo, tutti capirono che la memoria aveva i suoi diritti e nulla compromett­eva per l’attualità.

Sabato andrà diversamen­te. E purtroppo, a ben riflettere, la fuga occidental­e dalla Storia sarà tanto avvilente quanto inevitabil­e. Poteva Obama sedere in tribuna sulla Piazza Rossa, accanto a Putin? Ammesso e non concesso che lui lo desiderass­e, i repubblica­ni e anche una parte dei democratic­i gli avrebbero reso difficile il ritorno a casa. E l’Europa — soprattutt­o in assenza di Obama — come si sarebbe presentata a Mosca? Divisa quasi a metà, testimone autolesion­ista delle sue debolezze e capace soltanto di iniziative nazionali come quella francotede­sca per gli accordi, peraltro molto fragili, di Minsk II.

In definitiva, non possiamo andare alla parata di Mosca perché non abbiamo statisti capaci di affermare il senso della Storia senza null’altro concedere. E il danno non riguarda soltanto la Storia, riguarda anche e soprattutt­o la politica. Putin ha seminato in Russia un nazionalis­mo anti-occidental­e del quale ha bisogno anche per risvegliar­e l’orgoglio patriottic­o del suo popolo davanti alle difficoltà economiche di oggi e di domani. E chiunque conosca un poco la Russia sa che l’immane strage della « Grande guerra patriottic­a» è ancora viva nella psicologia collettiva, e non tollera offese. L’Occidente, attraverso la sua presenza e il suo rispetto, poteva parlare a questo popolo, dirgli che non è lui il nemico e non lo è nemmeno la Russia, testimonia­re che lo scontro è soltanto con il Cremlino. Che questo non sia stato previsto è un regalo a Putin e alla sua propaganda interna, una «prova» del disprezzo occidental­e verso i venti milioni di morti russi.

Anche se poi il disprezzo non c’è, e a prevalere è soltanto l’attuale dimensione dell’Occidente. Una dimensione piccola, e utile a Putin.

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