«Miliband debole? No, ma poco concreto Ha corteggiato troppo i populismi di sinistra»
«La gente ha bisogno di vedere programmi credibili e competenze economiche per attuarli. Si è perso troppo tempo, sconfinando in inutili populismi di sinistra. Alla fine si paga». Gli exit poll danno il verdetto: vince Cameron. Che può contare sull’appoggio dei liberaldemocratici, ridotti a una misera pattuglia e forse degli unionisti nordirlandesi. Ha dunque i numeri, sia pure risicati, per restare a Downing Street e per formare un nuovo governo.
Perché il crollo dei laburisti? Lord Mandelson assieme a Tony Blair è stato l’architetto del New Labour. Ma se Tony Blair è visto da una parte del suo partito più come un avversario che come un ex leader da rispettare, Lord Mandelson, intellettuale e politico raffinato, conserva intatto il prestigio costruito e accumulato negli anni Novanta con la svolta della «terza via», il progressismo che parla al ceto medio centrista. Lo incontriamo nel suo ufficio vicino a Oxford Street.
Era opinione diffusa che Ed Miliband fosse un leader debole: forse troppo di sinistra, inadatto a catturare i consensi moderati.
«La stampa enfatizza sempre le debolezze dei leader e spesso esagera. Devo dire che dall’inizio della campagna elettorale Ed Miliband ha mostrato di avere piglio forte e una politica chiara, molto più che in passato, ha compreso di essere a un punto cruciale. Ma lo ha compreso troppo tardi».
La Scozia era la roccaforte dei laburisti. C’è stato un bagno di sangue proprio per i laburisti. Come lo spiega?
«Gli scozzesi pensano in termini di identità e cultura nazionale, di sogni scozzesi anziché britannici. I laburisti sono stati avvertiti come un partito unionista perciò penalizzati. Gli scozzesi ritengono che i laburisti difendano gli interessi inglesi e non scozzesi. E lo Scottish National Party ha offerto un’ alternativa».
Gli errori dei laburisti in questi cinque anni?
«Si è archiviata troppo in fretta la stagione del New Labour e ci si è persi nella demagogia. L’elettore vuole concretezza, idee. Che sono mancate».
Crede che la «terza via» del New Labour sia ancora un tema attuale?
«La terza via è un tema attuale per le conversazioni perché ispira molte delle politiche di oggi. I leader laburisti attuali si presentano come post New Labour ma non si fanno risucchiare dalle logiche delle nazionalizzazioni, degli eccessi di spesa e di tasse. Persino i conservatori, a partire da David Cameron, amano presentare i centristi
Gli scozzesi Pensano in termini nazionali e hanno penalizzato il Labour
tory come “orfani” di Tony Blair. L’eredità del New Labour è forte. Forse gli unici a non capirla bene sono stati i laburisti che sono rimasti a metà fra ciò che consideravano superato e un nuovo che non è mai arrivato». Si dimetterà Ed Miliband? «Vediamo bene i numeri finali. Dipende dalle percentuali definitive e dai seggi. Anche se credo che il primo a pensarlo sia proprio lui. Ma non bisogna lasciarsi prendere dall’istinto e precipitare le cose».
Una cosa è certa: il sistema politico si è frammentato.
«Il fenomeno è cominciato da tempo. La crisi finanziaria ha accelerato il distacco dai due grandi partiti e trasformato i dubbi dell’elettorato in una malattia cronica. L’unico rimedio, visto come possibile, è la delegittimazione della classe politica dirigente. Poi, la politica si è molto personalizzata. Il cittadino non sceglie sulla base di programmi, di identità sociali o di classe. Seleziona, come se fosse in un negozio, il volto, la bellezza, il vestito. La sostanza purtroppo non conta più, o quasi».
L’economia britannica è in ripresa. Qual è il suo giudizio sui cinque anni di governo conservatori-libdem?
«L’economia britannica è in lenta, instabile e moderata ripresa. Le misure di austerità adottate da Cameron sono state simili a quelle già decise dal governo laburista Gordon Brown. La coalizione di centrodestra ha però mantenuto una rigidità che ha impedito una crescita definitiva e stabile. Ora sarebbe il tempo di pensare di meno all’austerità. È evidente che occorre mantenere sotto controllo le finanze pubbliche. Purtroppo i conservatori mostrano un’aggressività pericolosa sui tagli alla spesa pubblica per creare un surplus da destinare entro 5 anni alla riduzione delle tasse. Serve più equilibrio: non si può massacrare il pubblico a favore del privato ricco».
La City e l’industria erano preoccupati di un possibile governo di minoranza laburista. Ha pesato questa bocciatura in campagna elettorale?
«La City e il mondo del business sono meno anti laburisti di quello che si creda. Certo non hanno avvertito la sensibilità e la vicinanza di Miliband. Comunque, ciò che disapprovano e temono di più è il referendum sull’Europa proposto da Cameron».
Londra uscirà dall’Europa?
«Con Cameron a Downing Street ci sarà il referendum ma non enfatizzerei troppo. La maggioranza dei britannici è favorevole all’Europa, a patto che l’Europa dia segnali di volersi riformare e sburocratizzare».