«Una sentenza così e nessuno ci informa» Le preoccupazioni di Palazzo Chigi dopo il verdetto della Consulta. La triangolazione con il Quirinale
6 volte il minimo: 3 mila euro), prevedendo una rivalutazione decrescente nella fascia intermedia: dal 95% per lo scaglione tra i 1.500 e i 2 mila euro, al 75% tra i 2 mila e i 2.500 al 50% tra i 2.500 e i 3 mila. Questo per costruire quella progressività della norma, la cui assenza ha determinato la bocciatura.
La scelta dell’esecutivo è quasi obbligata. Come hanno chiarito i tecnici della Commissione Ue, con i quali il governo ha subito aperto un dialogo, la spesa per il rimborso delle pensioni, anche quella relativa agli anni passati, si dovrebbe scaricare per il principio di competenza interamente sul 2015, che è l’anno in cui emerge, con la sentenza
L’affannoso tentativo del governo di coprire la voragine nei conti pubblici aperta dalla sentenza della Consulta sulle pensioni, sta tenendo nascosto un grave incidente tra organi dello Stato destinato presto a deflagrare. Perché il verdetto non solo crea un problema economico all’esecutivo e un problema politico al presidente del Consiglio, ma solleva anche un delicato problema di natura istituzionale nel meccanismo di relazioni tra Palazzo Chigi e la Corte costituzionale, che di fatto finisce per coinvolgere il Quirinale.
È difficile immaginare che l’ira di Renzi possa rimanere a lungo circoscritta ai colloqui riservati, durante i quali il premier punta l’indice verso i giudici: «Avevano preso questa decisione su un tema così delicato e per settimane nessuno ha pensato di farci sapere nulla?». L’interrogativo (retorico) gli serve per domandarsi e domandare dove sia finito il senso dello Stato nel rapporto di collaborazione tra istituzioni. Anche per questo da due giorni è stata attivata una triangolazione tra la presidenza del Consiglio e la presidenza
La vicenda
Il verdetto della Consulta che ha bocciato il decreto Monti sul blocco delle indicizzazioni delle pensioni oltre tre volte il minimo Inps sta causando un grave incidente tra organi dello Stato
Il confronto è tra il governo di Matteo Renzi alla ricerca di un rimedio per coprire la voragine nei conti pubblici e la Corte costituzionale della Corte sotto la regia della presidenza della Repubblica.
L’intervento di Mattarella ha prodotto un primo risultato: la nota diramata ieri mattina da Criscuolo ha spazzato via certe interpretazioni sulla sentenza della Corte che rischiavano di causare gravi danni al sistema economico anche sui mercati. Ma tanto non basta a riparare lo sbrego, e certo non risponde al quesito posto da Renzi, che sostiene — come raccontano fonti autorevoli — di esser stato tenuto all’oscuro della faccenda. Sul sito di Formiche l’economista Cazzola ricordava ieri che tra organi dello Stato «esiste una prassi di comunicazioni informali», e che se la prassi è stata disattesa «sarebbe un fatto molto grave».
E allora, se è vera la versione di Renzi, com’è possibile che la Consulta per cinquanta giorni non abbia avvertito la necessità di informare anzitempo il governo sul fatto che un suo verdetto stava per aprire una voragine nei bilanci dello Stato? Com’è possibile che tra la data di decisione e quella di pubblicazione della sentenza il presidente della Consulta non abbia informato il presidente della Repubblica, che è stato fino a pochi mesi fa un suo collega?
Ecco un altro aspetto delicato. Così l’incidente istituzionale diventa anche un intrigo istituzionale. La gravità della situazione ha prodotto un rumore tale da aver oltrepassato le mura ovattate di un palazzo — quello della Consulta — dove le divergenze in punta di diritto e persino gli scontri, non fanno mai cronaca. Stavolta è diverso. Per un Amato che ha confidato la propria «indignazione» per esser stato ancora una volta additato tra quanti avrebbero votato a favore della sentenza spaccaconti «che invece mi amareggia», c’è chi racconta come Mattarella da membro della Corte non fosse ben visto dai giudici che hanno appoggiato il provvedimento.
La questione ha acceso il dibattito tra costituzionalisti che sottovoce hanno finito per dare — con una serie di argomentati sospetti e brevi allusioni — un’interpretazione politica della sentenza, insinuando addirittura che la componente espressa dalla magistratura, viste le precedenti decisioni della Corte, volesse «vendicarsi di Renzi». Per un giorno il palazzo della Consulta è parso simile ai palazzi del Parlamento, mentre a Palazzo Chigi il premier faceva di conto con il titolare di via XX Settembre.
Come non bastasse il problema economico, si apre anche un problema politico per il capo del governo, che sarà costretto a intervenire sulle pensioni, da sempre tema scivoloso e foriero di emorragia di consensi. E pensare che l’ultimo sondaggio Swg dà in ascesa il Pd rispetto alla scorsa settimana, a un punto e mezzo soltanto dalla soglia del 40% che garantirebbe con l’Italicum la vittoria al primo turno. E invece ora Renzi, per difendere il bilancio, sarà costretto a difendere il più possibile un provvedimento preso da un altro governo, dovrà muoversi secondo logiche e tempistiche che non aveva programmato. In piena campagna elettorale sarà chiamato a intervenire su una materia sensibile con l’opposizione che in Parlamento è pronta ad accusarlo di comprimere i diritti acquisiti dei cittadini, calpestando la Consulta. Già, la Consulta... miliardi di euro il margine di spesa invalicabile a disposizione del governo per non incorrere in una procedura d’infrazione da Bruxelles per cento il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo. Soglia da non superare per non incorrere in una procedura Ue
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