Corriere della Sera

Troppa vita digitale intossica la coppia Un divorzio su sette è colpa dei social

- Di Maria Luisa Agnese

Un divorzio su sette avviene per colpa dei social network, a causa della dipendenza patologica e invasiva di uno dei partner. Il dato che avvelena i matrimoni nel mondo lo comunica uno studio Censuswire: e così la vita virtuale incrocia quella reale nel peggiore dei modi. Tutto ciò avviene non solo perché il marito ha trovato la moglie (o viceversa) in flagranza di tradimento online mentre chatta con un vecchio compagno di scuola riemerso dal passato remoto o con il nuovo collega di lavoro. Succede anche per cause apparentem­ente più futili, per atteggiame­nti che vengono imputati al partner come segnali di devianza 2.0, tipo non guardare più la tv con la famiglia o non cucinare con il dovuto amore, mentre si è presi a postare immagini, aggiornar profili, curare l’universo anonimo dei follower, cercare l’angolazion­e migliore per l’ultimo selfie. Stupisce ma non troppo che tutto ciò porti in tribunale e metta fine a sodalizi collaudati, anche perché la tendenza è in irreversib­ile escalation. Quello che offende è la grande distrazion­e sentimenta­le, la mancanza di attenzione ai bisogni dell’altro che si sente svalutato da quella fuga in un universo segreto parallelo: umilia quello stare sempre a naso in

Devianze 2.0 L’ossessione per un universo segreto parallelo è mancanza di attenzione ai bisogni altrui, un modo per dire al partner: «Tu non vali»

giù chini sul tablet, un modo per dire continuame­nte al partner «Tu non vali!». Una non disponibil­ità al gioco d’intesa casalingo di chi si rende irreperibi­le, perso in un altrove in cui sembra embedded e che regala all’altro un inesauribi­le e frustrante senso di esclusione. A un partner che magari ha l’unica colpa di esser meno dipendente dal sistema dei social o più affamato di vita reale. I social non sono nè buoni nè cattivi, anzi qualche innocua evasione nel mondo virtuale può addirittur­a aiutare la vita a due. Ma malefico può diventare l’uso smodato che ne facciamo. Una schiavitù che dobbiamo imparare a domare con piccoli gesti di disintossi­cazione quotidiani. E da cui prima o poi dovremo liberarci, non solo per salvare il matrimonio.

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