Dalla porta principale
ono emozionata, e anche un po’ nervosa per la mostra al MoMA. Ormai manca poco, verrà inaugurata la prossima settimana». Quarantaquattro anni dopo la sua incursione da «guerrigliera» della controcultura degli Anni 60 nel tempio dell’arte contemporanea, Yoko Ono torna al Museum of Modern Art di Manhattan da protagonista. Una retrospettiva in piena regola: «Yoko Ono: One Woman Show, 1960-1971». Ed era proprio il ’71 quando l’artista giapponese, da due anni moglie di Lennon da lei coinvolto nelle provocazioni artistiche, come «Bed-In», fece irruzione al MoMA annunciando una raffica di manifestazioni abusive della sua arte concettuale.
In jeans e scarpette da ginnastica, Yoko salta da un angolo all’altro dello spazio espositivo a lei dedicato con l’entusiasmo di una ragazzina di 82 anni. Indaffaratissima, ha poco tempo per i giornalisti. L’appuntamento è per una conversazione telefonica a tarda sera. Ora Yoko è più distesa, quasi divertita quando le chiedo se lei, una ribelle, non si senta in imbarazzo ad essere trattata come un’istituzione culturale: «Si, mi stanno istituzionalizzando. Eppure non posso negare che quando il MoMA mi ha chiesto di realizzare, passando dalla porta principale, quello che avrei voluto fare abusivamente nel ’71, la cosa, oltre a farmi sorridere, mi ha fatto anche immensamente piacere». Una rivincita? «Quello che è stato è stato. Non rinnego nulla, ma ora sono in pace con me stessa. Spero che la mia arte piaccia».
Riproponendo l’attività degli Anni 60 tornerà più visibile l’immagine della dadaista, esploratrice dell’arte concettuale e della sperimentazione cinematografica, rispetto a quelle, più note al grande pubblico, della «pop artist» e della compagna del più carismatico dei Beatles fino alla sua morte violenta nel 1980. Vengono riproposte anche opere celebri come «Cut Piece», col pubblico che diventa protagonista tagliando con le forbici pezzi di stoffa dei vestiti di una donna che incarna una condizione femminile da vittima, ma che poi, taglio dopo taglio, su quel palcoscenico si trasforma in una figura eroica.
È ancora attuale l’immagine di questa donna oppressa? «Le cose in più di 40 anni sono cambiate un po’, ma non moltissimo. Ci sono stati progressi negli Usa, in Gran Bretagna e da qualche altra parte. Spero che il mio lavoro sia stato un po’ d’aiuto in questo, anche se non pretendo certo di prendermi meriti. Le donne, comunque, soffrono ancora, e molto».