Le autrici
Tra il 1955 e il 1990, Elena Croce e María Zambrano scambiarono moltissime lettere, che ora vengono raccolte in un bel libro curato da Elena Laurenzi, A presto, dunque, e a sempre (Archinto). Erano molto diverse: nella mente, nella cultura, nelle inclinazioni; ma tra loro nacque subito un’amicizia, che affondava nelle regioni più intime e segrete dell’animo. Erano legate, senza che noi possiamo dirne esattamente la ragione. Bastava che l’una pronunciasse una parola, perché nell’altra si risvegliasse un’emozione, a volte quasi estatica, di cui non finiamo di raccogliere gli echi.
María Zambrano aveva una geniale immaginazione filosofica, che cominciò a sviluppare all’ombra di Ortega y Gasset, e che si nutriva di una ricca fantasia lirica e ritmica. Per il suo pensiero, la scrittura era essenziale. «Il tono, il ritmo e la melodia e, se la si ottiene, la cadenza — la musica, insomma, è essenziale nella comunicazione del pensiero». Le parole scritte si immergevano nella fluida mobilità della vita. «Tu sai, scriveva, quanto mi piace immergermi tra la gente, camminare per le strade, mescolandomi, essere come una spugna che si imbeve di quel che c’è nell’ambiente». «Quanto ho scritto in vita mia! Quando trovo una cartella bianca, respiro». Come scriveva Cristina Campo, era una figura sottile e tragica: aveva qualcosa di Ifigenia e di Antigone; era una di quelle creature che sulla terra fanno da puro tramite, perché «in lei non c’era niente (ispirazione, essenza, ricchezza) che subito non donasse agli altri». Con questo carico attraversò il mondo: aveva preso parte alla rivoluzione spagnola; e quando era stata sconfitta, visse in esilio, in Messico, in Francia e in Italia, per quarantacinque anni. Trascorse dieci anni a Roma; e amava moltissimo la sua luce: cercava la luce dell’alba e quella delle dieci di mattina e quella di alcuni gloriosi mezzogiorno, che lei fissava dal suo piccolo appartamento di piazza del Popolo, Plaza del sol, come la chiamava.
Sempre, anche quando viveva vicino a Ginevra, esaltava l’Italia, il suo paesaggio, la sua vita, la sua forza creatrice, con parole che commuovono un italiano: «L’Italia è forse l’unico luogo dove la storia e l’uomo possono trovare un punto d’incontro. Fuori dall’Italia non c’è salvezza». «L’Italia è il paese più vitale che conosco: il più inimitabile, l’unico originale… sono convinta che l’Italia sia l’unica realtà ancora viva in Europa». La libertà vi aveva sempre mantenuto, anche al livello filosofico più elevato, l’aria di essere semplicemente di casa. Tutto le piaceva: l’opera buffa, le passeggiate, la chiacchera, l’opera luminosa di Benedetto Croce, gli occhi non meno luminosi di Elena Croce, sua figlia, che a volte vedeva irradiati da lievissime lacrime.
Quando la sorella di María, Aracoeli, visitò Elena a Roma, la trovò piena di grazia, di intelligenza, di eleganza: tutte qualità che Elena Croce aveva sempre posseduto, ma che ora parevano brillare in lei in tutta pienezza. Sembrava assente, distante, in confronto agli altri uomini, così attenti a ciò che accadeva, ma in realtà era proprio lei la creatura della vita, mentre gli altri erano solo ospiti indiscreti della realtà. In tutto ciò che faceva e diceva, le parole lasciate cadere nella conversazione e nelle lettere, aveva un robusto potere di sintesi, che María Zambrano le invidiava. Come rivelavano i suoi piccoli libri, era sia profonda sia signora della forma: libera come deve essere una cristiana. «Il filo d’oro della storia — insisteva la Zambrano — passa attraverso di te. In ciò che scrivi come nella tua conversazione o nelle lettere, tutto
Il volume (Archinto, pagine 308, 20) raccoglie le lettere di Elena Croce e María Zambrano, scritte tra il 1955 e il 1990
Elena Croce
è nata a Napoli nel 1915 e morta a Roma nel 1994. Una delle protagoniste più lucide e indipendenti della cultura italiana del dopoguerra
María Zambrano è stata una scrittrice e filosofa (VélezMálaga 1904 - Madrid 1991), allieva di J. Ortega y Gasset e di X. Zubiri all’Universidad Central di Madrid