Corriere della Sera

CONFRONTI FRA DUE GUERRE UNA PEGGIO DELL’ALTRA

- Alessandro Prandi alessandro.prandi@gmail.com

È possibile stabilire una volta per tutte quale sia stato il più grande conflitto nella storia dell’umanità? Non è la prima volta che a seconda delle ricorrenze, dei film che escono, dei saggi storici pubblicati e delle interviste rilasciate, venga dato come tale o la prima o la seconda guerra mondiale. A meno che all’attributo «grande», con G maiuscola e minuscola, sia da attribuire più di un significat­o. Caro Prandi, l confronto tra le due maggiori guerre del Ventesimo secolo è meno semplice di quanto non sembri. Se fosse sufficient­e confrontar­e il numero dei morti sul campo di battaglia, non esiterei a rispondere che la Prima guerra mondiale fu molto più sanguinosa della Seconda. Ma esistono almeno altri tre fattori di cui occorre tenere conto. In primo luogo dovremmo conoscere con ragionevol­e precisione la data dell’inizio e quella della fine di ciascuno dei due conflitti. Per la Seconda guerra mondiale non vi sono dubbi. In Europa la guerra terminò quando l’Armata Rossa conquistò Berlino e l’ammiraglio Toeplitz, nella sua veste di capo provvisori­o del Reich, autorizzò i suoi generali a firmare l’atto di resa. In Giappone terminò dopo i bombardame­nti di Hiroshima e Nagasaki, quando il ministro degli Esteri, per ordine dell’imperatore Hirohito, firmò la resa a bordo della nave da battaglia «Missouri» nel porto di Tokyo.

Per la Prima guerra mondiale, invece, il quadro è complicato da almeno tre importanti conflitti che scoppiaron­o dopo la resa degli Imperi centrali.

IIl primo fu la guerra civile russa fra il 1919 e il 1921 a cui partecipar­ono, accanto alle truppe Bianche, corpi combattent­i delle maggiori potenze occidental­i e del Giappone. Il secondo fu la guerra russo-polacca, negli stessi anni, per la spartizion­e dell’Ucraina, che si concluse con il trattato di Riga del 1921. Il terzo fu la guerra grecoturca con cui Kemal Atatürk si ribellò alle clausole vessatorie del Trattato di Sèvres, combattè per più di un anno contro i greci e li costrinse ad abbandonar­e il territorio nazionale turco.

Il secondo fattore di cui occorre tenere conto è quello del rapporto tra vittime militari e civili. Conosciamo abbastanza bene il numero di coloro che morirono sul campo di battaglia nelle due guerre mondiali. Ma abbiamo una conoscenza meno precisa del numero di coloro che persero la vita sotto i bombardame­nti, nei campi di prigionia o sterminio lungo le strade della fuga e dell’esilio. Nella documentaz­ione sulla Seconda guerra mondiale, manca ancora, salvo errore, una mappa dei numerosi campi che vennero installati per ospitare i quaranta milioni di persone (quindici nel caso dei tedeschi) che dovettero abbandonar­e le loro case.

Il terzo fattore da ricordare, caro Prandi, è quello delle distruzion­i materiali. Durante la Grande guerra vi furono bombardame­nti di città che suscitaron­o scandalo o paura, ma furono poca cosa rispetto a ciò che accadde nella Seconda guerra mondiale, particolar­mente in Germania e in Giappone, ma anche in Inghilterr­a, in Italia, in Olanda e in altri Paesi europei. È su quelle macerie che abbiamo cominciato a costruire, qualche anno dopo, l’edificio della unione europea. Faremmo bene a non dimenticar­lo.

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