Il caso delle «pensioni d’oro»
Ho lasciato il lavoro dopo aver versato contributi previdenziali per 37 anni e dopo avere ricoperto incarichi dirigenziali del livello più alto (direttore centrale). La mia pensione – definita in base al sistema retributivo, ma certamente coperta dai miei contributi – è di 3.600 euro netti mensili. Nella consapevolezza di essere un privilegiato rispetto alla media avvilente dei livelli pensionistici italiani, ho considerato accettabili le decisioni prese nel corso degli anni dai vari governi a carico delle pensioni più elevate (blocco degli adeguamenti e contributi di solidarietà), senza porre eccezioni del genere «diritti acquisiti» e benché queste misure abbiano ridotto in modo rilevante il potere di acquisto della mia pensione. E ho anche finto di non sentire quando le pensioni come la mia venivano definite «pensioni d’oro», al pari di quelle veramente d’oro che tutti conosciamo. C’è però un limite al senso civico ed alla pazienza. E questo limite lo ha superato Il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, quando ha affermato: escludo che sia possibile restituire a tutti l’indicizzazione delle pensioni; per quelle più alte sarebbe immorale.
Non entro nel merito giuridico delle sue affermazioni (dare per scontata la possibilità di disattendere una sentenza della Corte costituzionale) ma chiedo al sottosegretario che cosa ha fatto e si ripropone di fare per le infinite situazioni pensionistiche veramente «immorali».
Tanto per fare qualche esempio, restando soltanto in campo previdenziale: le pensioni dei parlamentari, i trattamenti inverosimili dei consiglieri regionali, le pensioni stratosferiche dei dirigenti di una miriade di enti (Banca d’Italia, società telefoniche, Enel e molte altre), la situazione quasi inverosimile di chi — avendo fatto 3 o 4 mestieri (parlamentare, giornalista, dirigente di Autorità, ecc) — percepisce 3 o 4 pensioni, e via dicendo. Ma forse affrontare con