Snob, afrodisiache, sensuali, le ostriche della poetessa degli appetiti
Storie in conchiglia, la «perla letteraria» di Mary F.K.Fisher in edicola con la collana del Corriere
E ros e thanatos si sfiorano in questa Biografia sentimentale dell’ostrica scritta da M. F. K. Fisher, definita da John Updike «la poetessa degli appetiti». È un breviario confessionale per aspiranti (o consumati) peccatori di gola. L’afrodisiaco frutto di mare infatti affascina e repelle: per la voglia di provare, la facile allusione sessuale, ma pure per il troppo sapore di mare, il prezzo salato. Il memento mori arriva a pagina 25, che si apre con un epitaffio: «C. Pearl Swallow. Morì avvelenato da un’ostrica». Frase scolpita su una lapide in un cimitero del Maine, Paris Hill. Tripudio di barocchismi.
Il cognome dello sfortunato signore infatti è «perfetto per una fine del genere», perché
pearl significa perla e swallow ingoiare. Ma la sua fine non fu altrettanto perfetta, perché se il signor Swallow «morì davvero a causa di un’ostrica avariata, fu senza dubbio, per alcune ore, il più disgraziato degli uomini. Doveva aver sentito dal suo gusto nauseabondo che l’ostrica aveva qualcosa che non andava. Forse se ne era vagamente preoccupato, prima di dimenticarsene», scrive Fisher.
Il libro raccoglie citazioni e ricette (anche per fare una perla), spunti di biologia, storia e sociologia: le ostriche costituiscono un cibo del tutto insoddisfacente per il lavoratore, ma sono perfette per il sedentario.
Ma qual è il sapore dell’ostrica? Qui c’è l’aspetto sentimentale del libro, la sensazione, anzi il sentimento di chi l’ha assaporata, tra l’acquolina titubante e lo stupore che si dilegua come un finto nodo in gola. Fisher si schermisce con una tautologia: «Il sapore dipende da moltissime cose. Innanzitutto, se è fresca, dolce e sana avrà, semplicemente, un gusto buono... buono, naturalmente, per chi ama le ostriche». Poi squaderna: «Avrà il gusto di una Chincoteague o di una blue
point, o più dolciastro di una dei bayous in Louisiana, o lievemente metallico delle minuscole Olympia della costa del Pacifico. O potrebbe avere il sapore franco e rude di quelle che arrivano d’inverno direttamente dal mercato di un paesino francese dove, sulle bancarelle, si trovano perfettamente disposte a spina di pesce le ostriche portoghesi e della Garenne, verdi come la morte per il profano e gustosissime per l’esperto. O sarà soda e carnosa, come le ostriche inglesi dei dintorni di Plymouth».
Infine, la perla: «Avrà il gusto che si aspetta chi la mangia». E la biografia diventa organolettica auto-fiction.