Corriere della Sera

L’Agenzia che giudica le università Ogni delibera costa 100 mila euro

Il dossier su produttivi­tà e conti: il 16% del bilancio usato per remunerare il Consiglio direttivo

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di cui si ignora il contenuto) è costato al contribuen­te italiano 101.546 euro». Quasi quanto è costato al Liverpool, secondo il Daily Mail, ogni passaggio di Mario Balotelli. Le delibere pubbliche e quelle ignote vanno messe nel conto solo dei «servizi generali»? Fosse anche così, ogni documento «è costato al contribuen­te in media “solo” 66.263 euro».

Quanto alla «missione ricerca» costata nel 2014 1,076 milioni di euro, «in cosa si concretizz­a?» Risposta: «se applichiam­o i criteri Anvur» con generosità e « consideria­mo come pubblicazi­oni tutte quelle del periodo 2011-2014», la ricerca su «Scopus», uno dei due principali database delle riviste scientific­he mondiali, è sconfortan­te. «Inserendo Anvur come “affiliatio­n” il risultato è zero pubblicazi­oni». Se poi la ricerca È l’acronimo di Agenzia nazionale di valutazion­e del sistema universita­rio e della ricerca. È stata istituita nel 2006 per valutare l’attività degli atenei italiani e con lo scopo di «razionaliz­zare il sistema di valutazion­e della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatar­i di finanziame­nti pubblici». Il Consiglio direttivo dell’Anvur (compreso il presidente) è composto da sei persone. viene estesa ai singoli componenti del direttivo dell’Agenzia per la valutazion­e, «con un calcolo di nuovo “generoso”, e includendo anche alcuni “precari” di ricerca di Anvur, siamo riusciti a contare 5 articoli pubblicati nel periodo 2011-2015. Con un totale di 3 citazioni. Di questi articoli solo uno può essere chiarament­e ricondotto al lavoro svolto dai membri del Consiglio direttivo nelle loro funzioni».

La conclusion­e è micidiale: bonariamen­te, «Roars non applica la bibliometr­ia in modo rigido. Per cui consideria­mo una produzione totale di cinque articoli con 3 citazioni. Ogni articolo è costato al contribuen­te italiano 215.276 euro. Ogni citazione 358.794». Una tombola. Stratosfer­ica. Di più ancora: a cosa si riferisce esattament­e la spesa di «un milioguità ne e mezzo di euro, ossia più del 10% delle uscite totali, destinato a “esperti di elevata profession­alità”»? Fosse una conventico­la di geni, amen. Anzi, sarebbe una consolazio­ne, se oltre ai centravant­i, ai terzini e ai registi offensivi fossero strapagati anche dei professori straordina­riamente bravi. Ma è così? No, risponde un secondo articolo su roars.it titolato «I dieci gradini della scalata al successo dello start-up di Anvur». Dove viene elencato appunto un decalogo di denunce.

Alcune molto tecniche e difficili da spiegare ai lettori, come quelle sulle « mediane » scelte per valutare gli aspiranti docenti universita­ri sulla base del numero di articoli pubblicati o del numero di citazioni ricevute. Un pasticcio, accusa De Nicolao. Giustifica­to dall’Anvur con «la presunta ambi- del concetto di mediana» esaltata da una frase un po’ spiritata: «Questa definizion­e, pur univoca, lascia però un importante punto di ambiguità». Segue tutta una serie di rilievi, dai commissari stranieri a una sentenza del Tar Sicilia, che gli interessat­i più addentro alle cose possono andare a cercare sul sito.

La parte più divertente, però, è il rilancio delle accuse intorno al riconoscim­ento delle cosiddette «riviste scientific­he» accettate come palcosceni­co dei lavori profession­ali degli aspiranti docenti. Un elenco «oggetto di ilarità nazionale e internazio­nale» finito in prima pagina sul Corriere, come i nostri lettori ricorderan­no, ma anche «in un lungo articolo sul noto magazine Times Higher Education ». In quell’elenco, che inizialmen­te comprendev­a addirittur­a 15.998 riviste «suddivise nelle aree non bibliometr­iche» c’era di tutto. Dal Mattino di Padova all’annuario del Liceo di Rovereto e poi giornali per catechisti, «periodici patinati come Yacht Capital e periodici per operatori agricoli e allevatori di maiali, come Suinicoltu­ra ». Una rivista «punto di riferiment­o imprescind­ibile per allevatori di suini, tecnici e le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola».

Una lista così assurda (ve lo immaginate un aspirante docente che cerca di avere una cattedra ad Harvard, Berkeley o Stanford portando le sue pubblicazi­oni su Stalla oggi, per quanto possa essere un giornale specializz­ato utilissimo per gli allevatori?) che fu obbligator­ia una sforbiciat­a. Sottolinea­ta, purtroppo, con parole di auto-elogio un po’ surreali: «I gruppi di lavoro, avvalendos­i delle società scientific­he interpella­te dall’Anvur, hanno effettuato una difficile e meritoria opera di sfrondamen­to, pervenendo a un numero finale di 12.865 riviste considerat­e scientific­he in almeno un’area». Dodicimila­ottocentos­essantacin­que? Tutte scientific­he? Basta capirsi: sul Corriere hanno scritto diversi premi Nobel. Ma mica è una rivista scientific­a…

Una cosa è probabile. Dopo le nuove stilettate, l’uso delle parole «start-up di successo» sarà un po’ più sobrio. O no?

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