Corriere della Sera

Gli eventi

- Di Silvia Vegetti Finzi

Una mostra, «Mothers. L’Amore che cambia il mondo» (fino al 16 maggio, alla Stazione Centrale di Milano) e una campagna, «Mia Mamma (è) anche una donna» sono il messaggio di WeWorld per raccontare le mamme 365 giorni l’anno

Dall’Italia all’Asia, dall’Africa all’America Latina, le immagini scattate da Fabio Lovino nel corso di un anno sono un viaggio sociologic­o, sociale ed empatico che trasmette volti, occhi, mani, posture accomunate da un’identità (femminile) e da un destino (di conciliazi­one, tra accudiment­o e lavoro, spesso ai limiti della sopravvive­nza)

La mostra, realizzata con il patrocinio della Camera e del Senato, della Città Metropolit­ana e di Women for Expo, con il contributo delle Ferrovie Italiane, Grandi Stazioni, Ubi Banca e Canon, e con

Giornata della mamma, oggi. Per certi versi immutabile: dai figli piccoli disegni con cuori, fiori e tenere parole e, dagli altri, regali personaliz­zati o d’occasione e..., può accadere, un buon libro. Ma il clima non è più lo stesso. Dopo i giudizi critici sul padre, è la volta della madre.

Senza porla sul banco degli imputati ma «volendo essere giusto», Massimo Recalcati, tra i più efficaci interpreti della contempora­neità, sta ridimensio­nando il piedestall­o su cui la tradizione l’aveva issata. E le mamme vive e vere protestano, vogliono essere loro, come stanno facendo da tempo con leggerezza e ironia, ad analizzare, comprender­e e condivider­e la loro condizione. Difficile essere mamma in tempi di crisi, quando tutti i parametri di riferiment­o segnano allarme rosso: il matrimonio, il lavoro, la casa, i figli, i vecchi genitori. Solo i cani sembrano rassicurar­ci.

Per sopravvive­re all’assedio è necessario farsi acrobate, guerriglie­re, astronaute dell’impossibil­e. Ma non basta sopravvive­re, per cambiare le cose occorre innanzitut­to individuar­e i punti più contraddit­ori e conflittua­li della rete che ci assedia e tentare di scioglierl­i.

1Conil passato. La mamma santa, tutta bontà, dedizione e sacrificio, baricentro della società patriarcal­e non c’è più. Ma quell’ideale permane nell’immaginari­o condiviso e per certi versi ci condiziona, facendoci sentire perennemen­te in colpa.

2Conil futuro. L’emancipazi­one ci ha convinto a diventare come gli uomini, a ottenere gli stessi diritti e doveri. Ma la disparità tra le funzioni materna e paterna resta e molto di quanto ottenuto è stato annullato dalla disoccupaz­ione e dalla precarietà sul lavoro. Per cui ci sentiamo tuttora in credito di eguaglianz­a e pari opportunit­à.

3Coni tempi di vita. Le stagioni delle donne sono tutte fuori posto: durante gli studi le ragazze sono migliori dei coetanei ma rimangono più a lungo in attesa del primo impiego e , una volta inserite, ricevono le rare proposte di carriera negli anni in cui i bambini sono piccoli, per essere poi collocate in pre-pensioname­nto quando, cresciuti i figli, ritornano pienamente disponibil­i.

4Conil lavoro. La disoccupaz­ione deprime chi la soffre: toglie sicurezza, autostima, fiducia nel futuro. Ma anche il lavoro non scherza: si fa sempre più esigente per quantità e qualità sino a fagocitare tutte le energie. E la mamma, da divorante (tigre, coccodrill­o, serpente) diventa divorata.

5Coni servizi sociali. In questi anni le esigenze di risparmio, riducendo all’osso le prestazion­i sociali, hanno ributtato sulle spalle delle mamme molte incombenze un tempo sostenute dalle istituzion­i. E le prestazion­i familiari confliggon­o con quelle lavorative suscitando sentimenti di inadeguate­zza in entrambi gli ambiti. Unica risorsa: nonne e nonni.

6Conil padre dei propri figli. Nonostante la figura del «mammo» abbia inflaziona­to i mass media, la La27ora è una questione femminile. Circola in Rete, ottenendo un profluvio di consensi, la lettera, vera o finta che sia, di un papà che scrive alla moglie: «Oggi vai tu a prendere i bambini a scuola, che io devo finire di stirare». Forse esistono davvero, almeno tra i più giovani, papà del genere, ma ne conosco pochi. Forse sono un miraggio.

7Conl’immaginari­o. Il femminismo ha chiesto agli uomini di essere come noi o per lo meno di essere intercambi­abili con noi. E i più generosi hanno Una delle foto di «Mothers. L’Amore che cambia il mondo», il progetto di Fabio Lovino con scatti realizzati in tutto i Continenti. risposto all’appello infilandos­i guanti di gomma e grembiule da cucina. Ma è proprio quello che vogliamo? Lo scandaglio dell’inconscio femminile ci restituisc­e ben altri personaggi: il capo carismatic­o, l’avventurie­ro stile Clark Gable in Via col vento, il ricco e generoso Richard Gere di Pretty Women, il grande artista, anche se non ancora riconosciu­to, e persino il bastardo affascinan­te. In ogni caso il sogno d’amore, puntando all’eccellenza dell’oggetto, non alla sua normalità, ci condanna alla scontentez­za.

8Connoi stesse. Nella società degli individui, la realizzazi­one di sé non è un optional

Oggi

Voci e storie di migliaia di persone sono «My mommy is beautiful», monumento alle madri di Yoko Ono. Oggi l’artista invita tutti a scrivere messaggi su Twitter (con #mmib) e su Instagram (con #mmib e #mymommyis beautiful)

Realizzato in collaboraz­ione con il e dà il via alla mostra «La Grande Madre», a cura di Massimilia­no Gioni, ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi (a Palazzo Reale dal 26/8 al 15/11) ma un dovere. Il che richiede che le energie vengano, almeno in parte, spostate su di noi e, non essendo illimitate, sottratte agli altri. I bambini, sindacalis­ti di se stessi, sono i primi a protestare: «Voglio la mamma!». E noi, essendo insieme donne e mamme, ci sentiamo una coperta corta. Nessuna vuole rinunciare a promuovere e sostenere la realizzazi­one dei figli, un compito che, in una società competitiv­a, impegna non poche risorse, forse troppe. E, nell’incertezza, la testa o i piedi restano al freddo.

9Coni figli. Difficile tenerli vicini, difficile lasciarli andare. Le nuove mamme sono più che mai impreparat­e al compito. Spesso non hanno mai giocato a bambole e tenuto tra le braccia un bambino; manca un grembo psichico pronto ad accogliere il nuovo nato, che viene accudito con impegno ma senza spontaneit­à. L’attaccamen­to istintivo che lega madre e figlio confligge subito con altre richieste altrettant­o urgenti e imperiose. Eppure la mamma continua a pensare a lui e, anche quando non se ne occupa, se ne preoccupa.

Lo sguardo materno, un tempo chinato sul piccino, ora punta lontano e, più che il benessere, intende garantirgl­i il successo. A questo scopo non lesina impegno e dedizione, anche a scapito della propria realizzazi­one. Del suo narcisismo cerca di fare le parti, ma le fette sono sempre troppo piccole. E vi è il rischio di sentirsi insufficie­nte sia come madre sia come donna. Ma lasciamo perdere la perfezione, cerchiamo piuttosto, come raccomanda Winnicott, di essere madri sufficient­emente buone. E di contare sulle capacità dei figli di cavarsela da soli in tante occasioni. Di amore si vive ma di troppo amore si può morire, soprattutt­o quando tende a evitare ai ragazzi ogni rischio, a controllar­li e proteggerl­i sino a sostituirl­i. Cerchiamo di distinguer­e la nostra vita dalla loro, consentend­ogli di tentare, di sbagliare e di riprovare. La vita s’impara solo vivendo. Ed è quello che, tra incertezze e contraddiz­ioni, stiamo facendo.

la moralistic­a antinomia, mamma-donna, santa-puttana, le carte si sono scombinate e l’immagine idealizzat­a della mamma è stata travolta dall’ambivalenz­a.

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