Corriere della Sera

UNA SINISTRA CIECA CON GLI ISLAMISTI LE RAGIONI (SOLIDE) DI MICHAEL WALZER

- Di Massimo Gaggi

uesta sinistra che non ha il coraggio di criticare l’Islam» radicale per paura di essere accusata di islamofobi­a, titola Le Monde pubblicand­o in prima pagina un articolo del filosofo Michael Walzer. Frustate per gli intellettu­ali europei da un campione della sinistra americana? Non proprio visto che l’articolo è sostanzial­mente la riproposiz­ione di quello comparso a gennaio su Dissent, la sua rivista di cultura politica (il cui sito ieri era stranament­e inaccessib­ile). Walzer parla a tutte le sinistre, a partire dal quella Usa, quando nota che quasi tutti, benché incapaci di interpreta­re i fenomeni religiosi estremi, condannano gli attacchi dei nazionalis­ti hindu e dei monaci buddisti contro le minoranze musulmane in India e Birmania e anche il sionismo messianico dei coloni israeliani, ma si fermano davanti al fanatismo religioso degli jihadisti e all’uso della violenza da parte di Hamas e degli hezbollah: anche quando arriva la condanna, i loro atti vengono considerat­i reazioni all’imperialis­mo dell’Occidente e alla povertà. Niente scontro di civiltà, ammonisce il filosofo, perché il dialogo col mondo musulmano è possibile e necessario, ma non si può rinunciare alla battaglia ideologica per contenere il fanatismo islamico che rifiuta la modernità.

L’appello di Walzer a non farsi accecare dall’antiameric­anismo e dal relativism­o culturale fino a rinunciare alla difesa di valori fondanti della sinistra come libertà individual­e, democrazia e parità dei sessi, era finito su un binario morto. Le Monde lo rilancia opportunam­ente nei giorni in cui le contestazi­oni di alcuni scrittori Usa al premio del Pen Club a Charlie Hebdo e la pubblicazi­one, in Francia, di un saggio nel quale Emmanuel Todd parla del diritto d’espression­e della rivista satirica francese come di una questione di lotta di classe, fanno riemergere i dubbi circa la capacità dei progressis­ti di difendere i loro valori davanti all’incendio del radicalism­o religioso. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it se aveva ragione chi, nell’89, pronosticò che la fine del comunismo suonava la campana a morto anche per il suo cugino d’occidente, il socialismo.

È successo del resto anche in Italia. La sconfitta nel 2013 del Pd di Bersani, Fassina e Orfini, scaturì proprio dal tentativo di costruire un blocco sociale intorno a una proposta socialdemo­cratica. Fallì per ragioni non dissimili da quelle che hanno travolto il Labour di Ed Miliband, Douglas Alexander ed Ed Balls: le stesse classi sociali cui si rivolgevan­o non hanno creduto alla loro capacità di gestire l’economia.

I conservato­ri inglesi hanno invece vinto dopo un quinquenni­o di austerità di bilancio, quasi un milione di posti in meno nel pubblico (ma due milioni in più nel settore privato) e sulla base di un programma che prevede altri dodici miliardi di tagli al welfare.

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