Corriere della Sera

Viaggio nella Terra madre Il sacro declinato dall’arte

Un percorso di reperti, fotografie e citazioni letterarie

- Di Maria Rosaria Spadaccino

cioè il mondo noto, al cui centro si trova Gerusalemm­e.

Siamo nel XXXIV dell’Inferno. Mentre dentro quel foro profondo si agita il corpo massiccio del diavolo, raffigurat­o come un abnorme verme in una mela gigantesca, Dante e Virgilio devono attraversa­re il centro della sfera terrestre, capovolgen­dosi per risalire verso il monte del Purgatorio, creato dalla formazione della cavità in cui è incastrato Belzebù.

Dante è stato un formidabil­e

Linterpret­e di immaginari cosmologic­i, purché funzionali al disegno del suo poema. Il pianeta Terra lo affascina, che sia visto da vicino o che sia osservato da molto lontano. Nel canto di Ulisse, il XXVI dell’Inferno, il Sommo Poeta racconta come il desiderio di conoscenza abbia costretto l’eroe omerico a oltrepassa­re le Colonne d’Ercole, spingendol­o oltre il Mediterran­eo, in pieno oceano: lì, prima di essere travolto dalla tempesta, passando nell’emisfero australe Odisseo e i suoi intravedon­o a distanza un misterioso monte, probabilme­nte lo stesso Purgatorio che si ritroverà otto canti più in là.

L’eccesso di curiosità geografica è insieme il pregio e il difetto di Ulisse. Il mondo conosciuto non gli basta. Nemmeno a Dante, del resto, basta: per questo perde la diritta via e a Terra madre di tutto, la terra che toglie, sottrae ma anche nutre e genera. E rigenera. Fonte di immagini, racconti, miti e leggende. Una sacralità narrata attraverso settantaci­nque pezzi incastonat­i in un percorso visivo all’interno del Colosseo, che alterna reperti come statuette preistoric­he, vasi, sculture a fotografie d’autore, dove il colore di Gaia (per Esiodo al centro di tutto) si mescola ai rossi pompeiani e ai grigi sfumati in tutte le tonalità di foto, scattate da artisti contempora­nei.

Si chiama «Terrantica-Volti, immagini della terra nel mondo antico», una mostra che racconta nei maestosi fornici dell’Anfiteatro Flavio, fino all’11 ottobre, i culti della Terra, dalla preistoria all’età imperiale.

Un allestimen­to che si pone in forte relazione con le tematiche dell’ Expo 2015, per una riflession­e profonda sulla potenza della madre Terra, sulla sua influenza nei millenni sugli uomini e gli dei. Così reperti antichi e fotografie moderne si mette in viaggio nell’oltretomba. Capita a molti di non essere soddisfatt­i della Terra e di guardare oltre. Va detto però che se non ci accontenti­amo dei limiti terreni, non riusciamo neppure a separarcen­e o peggio a rinunciarv­i del tutto.

«La nostra appartenen­za a questo mondo ha qualcosa di — provenient­i dal museo della Fotografia contempora­nea, con la cura di Roberta Valtorta — convivono insieme a citazioni letterarie che evocano la sua sacralità e magia.

Da venerdì la mostra (promossa dalla Sovrintend­enza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologi­ca di Roma, curata da Maurizio Bettini e Giuseppe Pucci) si è completata con l’arrivo di nove opere provenient­i dalla Grecia. Sculture, vasi e bassorilie­vi che giungono a mostra iniziata per un ritardo di concession­e di permessi da parte del governo greco, opere d’età preistoric­a e dell’epoca cicladica, micenea e della Grecia classica.

Sono proprio le opere greche — negli ultimi Miti Le sirene e Ulisse in un frammento (V secolo a.C.) su uno stámnos attico. È al British Museum ossessivo», ha scritto Cesare Segre introducen­do un suo libro sulle immagini dell’altrove (follia o aldilà), «essa ci ha fatto introietta­re dei modelli che c’impediscon­o di immaginare mondi diversi». È talmente vero che anche l’aldilà viene modellato sulla nostra esperienza fisica e spaziale. Dunque viviamo in continua tensione tra il radicament­o nel pianeta che ci ha visti nascere e il desiderio di guardare e spingerci oltre, per poi accorgerci che gli altri mondi che abbiamo immaginato (e in cui ci prepariamo forse a sbarcare per l’eternità) somigliano maledettam­ente al nostro. Uscire dal mondo, che sentiamo ora come culla ora come prigione, finisce per essere un’ambizione e insieme un timore. E comunque, visto che alla letteratur­a non è sufficient­e ciò che esiste davvero, giorni al centro delle attenzioni di archeologi ed allestitor­i mentre vengono con delicatezz­a collocate — ad esprimere con forza selvaggia, il legame primordial­e tra uomo e terra. Una potenza sprigionat­a da statuette femminili del periodo cicladico antico, essenziali eppure perfette, per evocare la centralità della donna nel mondo, ovvero sulla Terra. Più ricca di suggestion­i visive complesse la grande anfora con «La signora delle fiere» da Tebe, provenient­e dal Museo archeologi­co di Atene.

Ma il viaggio sulla madre Terra (e nella mostra) inizia con statuette femminili dalle forme pronunciat­e, rappresent­anti la fecondità della donna e della natura, come la «Venere di Willendorf» del Paleolitic­o superiore.

Nella mostra la narrazione visiva è sempre sostenuta gli scrittori (ma non solo loro) hanno passato il tempo a inventarsi, sulla nostra terra, luoghi fantastici spacciando­li per reali. E qualcuno ci è pure cascato. Basti pensare al mito di Atlantide, che nei secoli, da Platone in poi, ha acceso le fantasie di filosofi, scienziati e scrittori, fino a produrre ipotesi assurde e controvers­e, che hanno collocato l’isola scomparsa nei luoghi più impensati.

Talvolta con ricostruzi­oni vere, talaltra con visioni puramente letterarie. Chi non ricorda il capitano Nemo indicare al professor Arronax, fuori di sé dall’entusiasmo, i resti subacquei del continente sprofondat­o, con le sue montagne vulcaniche, i sentieri ingombri di alghe, i fiumi ribollenti di lava: «Là, sotto i miei occhi, rovinata, distrutta, rasa al suolo, appariva una città con i tetti sfondati, i templi distrutti, gli archi abbattuti, le colonne spezzate a terra...». A proposito di terre perdute, è sempre Verne che fa intraprend­ere al tenace professor Otto Lidenbrock, studioso amburghese di mineralogi­a, la faticosa spedizione nell’antimondo sotterrane­o che culminerà al centro della Terra, dove il tempo si è fermato.

Siamo oltre la metà dell’Ottocento e Verne costeggia la fantascien­za, che poi prenderà il sopravvent­o quando il pianeta, con i marziani di H.G. Wells, comincerà a essere minacciato dalle invasioni extraterre­stri: un monito contro il delirio di onnipotenz­a della specie umana, che troverà in Philip K. Dick, Kurt Vonnegut e James G. Ballard i più feroci e lucidi narratori contempora­nei.

Forse sono questi i veri eredi di Dante. Nelle loro pagine si sentono battere ovunque, sempre più angosciosa­mente, le ali di pipistrell­o di Lucifero. Atmosfere Una visitatric­e osserva il Rilievo di Mettius Curtius, risalente al I secolo a.C. ( Esplorator­e Jules Verne (1828-1905), autore di «Viaggio al centro della Terra» Metaforico Kurt Vonnegut (1922-2007) ha raccontato l’inferno della II Guerra mondiale dalla narrazione letteraria, dalle dee primordial­i si arriva alla storia della genealogia degli dei di Esiodo della Teogonia, con il vaso attico a figure rosse del 470 A.C., firmato dal pittore Hermonax, che raffigura Atena che riceve Eretteo da Gaia.

Poi il mondo greco si confronta con quello romano: nel primo, l’uomo nasce dalla terra della propria città, nel secondo sono gli uomini i creatori della Terra seguendo il solco dell’aratro.

E quando la terra di sopra conduce a quella di sotto appaiono i miti di Demetra e Persefone e quello di Orfeo. Ma anche i sogni nascono dalla terra, ce lo racconta il cratere apulo che rappresent­a Anfiarao, indovino della città di Argo, al cospetto di Ade. La rassegna termina con il calco in gesso del larario della casa di Caecilius lucundus, raffiguran­te i danni del terremoto sugli edifici del foro di Pompei. Perché la terra può esplodere, diventare matrigna, senza essere perfida, basta sacrificar­le, «una scrofa pregna» secondo i riti propiziato­ri per Ceres e Tellus perché torni benefica.

Il suggello Appena arrivate nove opere concesse dalla Grecia. Esprimono con forza il rapporto ancestrale dell’uomo con le sue radici

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