Corriere della Sera

Corpo a violino, braccia conserte: le Veneri fertili Il fascino e il mistero delle statuette cicladiche: molte furono fatte a pezzi nell’isola di Keros

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o ancora come offerte votive. Consideran­do che il loro ritrovamen­to è avvenuto soprattutt­o nelle tombe, altri ricercator­i le spiegano come immagini apotropaic­he, sostituti di sacrifici, compagnia per i morti o simboli di stato sociale.

In ogni caso la replica del modello mantenutas­i fedele a se stessa per oltre cinque secoli sembrerebb­e convalidar­e l’ipotesi che la funzione sia rituale. Le immagini create per tale scopo, infatti, tendono ad essere conservati­ve perché esprimono il medesimo concetto di sacro. Di certo c’è che queste sculture cicladiche vanno ricondotte all’interno di una catena di rappresent­azioni femminili lunga almeno 40 mila anni, immagini cosmogonic­he da sempre presenti nel mondo simbolico dell’umanità fino a quella della Vergine Maria.

Nell’intera Europa le testimonia­nze della produzione di

Forme simboliche

Da sinistra: statuetta femminile, Antico Cicladico II, 2800-2300 a.C.; statuetta femminile tipo Spedos, da Koufonisia, Antico Cicladico II; statuetta femminile a forma di violino, Cicladico II. Sono tutte nella mostra romana «Veneri» risalgono alla fase più recente del Paleolitic­o (40-10 mila anni fa) e sono legate alla fertilità della donna che garantisce la continuità della specie.

È nel passaggio dal Paleolitic­o al Neolitico, cioè dalla raccolta del cibo alla sua produzione, che si può forse riscontrar­e una connession­e simbolica, dunque sacra, della donna Inferi Testa di Polifemo in marmo, della seconda metà del II secolo d.C. L’opera proviene dal Museo di Antichità di Torino fertile con la «dea madre» e la terra, tema su cui, peraltro, sono state fatte anche molte letture ideologica­mente forzate.

In tale sequenza iconografi­ca, le figurazion­i femminili di stile cicladico appartengo­no a una cultura fiorita nelle isole del mar Egeo centrale durante la prima era del bronzo (terzo millennio). L’originalit­à del loro linguaggio formale consiste nelle giuste proporzion­i dei volumi corporei, schematici ma armonici, quasi bidimensio­nali e sviluppati soprattutt­o in verticale. Il tipo cosiddetto «canonico» presenta le braccia conserte ed è fiorito nel periodo d’oro dell’arte cicladica, fra il 2800 e il 2300 a.C.; mentre il gruppo con la forma detta «a violino» appartiene al primo periodo cicladico (fra il 3200 e il 2800 a.C.) ed è costituito da esemplari generalmen­te non più grandi di 15-20 centimetri.

Come saranno poi le statue greche del periodo classico, anche queste erano colorate e alcune tracce di pigmento usato per definire i capelli si possono ancora vedere nel retro della grande statua (alta un metro e quaranta) conservata ad Atene. Ma c’è un ultimo aspetto misterioso di queste figure cicladiche. Un grande numero di esse è stato ritrovato a pezzi in un unico accumulo scavato negli anni Sessanta nell’isola di Keros, oggi disabitata. Gli archeologi sono giunti alla conclusion­e che le sculture furono rotte deliberata­mente già nell’antichità, ma nulla si sa del quando e del perché.

Forse durante un rituale? O forse per un atto ostile da parte di invasori? Non lo sapremo mai. Ma è anche grazie al mistero che la circonda nel silenzio dei millenni che l’arte cicladica emana un fascino magico, in contatto diretto col sacro.

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