I nuovi agrimensori spengono le illusioni
agrimensore del momento è Vladimir Putin. L’anno scorso, ha ritenuto che fosse arrivato il momento di cambiare i confini e ha annesso la Crimea alla Russia. Ha ridisegnato la demarcazione con l’Ucraina e ha svelato agli europei che le frontiere esistono ancora e che c’è chi, non rispettandoli, dà loro grande importanza. Dividere la terra, tracciare le linee di proprietà e di appartenenza (è uno dei temi della mostra al Colosseo) non è solo storia secolare, dunque: è attualità, anche se ci eravamo illusi che dopo il tramonto dei due imperi della Guerra fredda il mondo fosse diventato piatto, i confini stessero svanendo e il bisogno di tracciare solchi nel terreno fosse un resto del passato. Il Terminus e i Lari degli antichi romani, che delimitavano l’uno lo spazio fisico e gli altri le sue caratteristiche di comunità, da alcuni secoli li abbiamo fusi e, almeno in Occidente, chiamiamo il risultato Stato nazionale. Il quale è un’entità molto più complessa della realtà tutto sommato lineare dei regni dell’antichità. E che, per ora, non sta sparendo. Le mappe che lo rappresentano, però, cambiano: come al crollo dell’Impero romano. Agli europei, in fondo, l’operazione del tracciare i confini era sembrata semplice, fino a qualche decennio fa. Nel cuore del Vecchio Continente, le linee di demarcazione erano il prodotto di storia, commerci e guerre sanguinose. Ma più o meno stabilite. In gran parte del resto del mondo, le potenze coloniali le tracciavano guardando la carta geografica dall’alto, con squadra e righello, cercando di tirare linee dritte. Per quanto discutibile, c’era un ordine in quei confini. Oggi, l’arrivo dei nuovi agrimensori — Vladimir Putin, come si è ricordato all’inizio ma anche lo stesso Isis che si dichiara Stato — spegne il sogno di un mondo senza frontiere e, nel disordine, ne disegna di nuove. Come la storia, anche la geografia non è finita.
Putin che ridisegna i confini russi ci riporta al valore dei solchi sul terreno