Corriere della Sera

Quella dichiarazi­one

- Pbelvisi@gmail.com

Caro Romano, il presidente del Senato Pietro Grasso è intervenut­o a favore del giornale l’Unità, richiamand­o il valore della libertà di informazio­ne. Ma Antonio Gramsci, il sempre citato e ricordato fondatore dell’Unità, era per la libertà di informazio­ne? A me non sembra tanto, tra comunismo e egemonia culturale.

Anche a me spiace assistere alla scomparsa di un giornale che appartiene a un lungo periodo della storia nazionale. Quanto alla dichiarazi­one del presidente del Senato, ho già espresso la mia opinione qualche giorno fa sui pubblici interventi dei presidenti delle Camere nelle questioni in cui non hanno una specifica competenza. Le lettere firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a «Lettere al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579 lettere@corriere.it www.corriere.it sromano@rcs.it Caro Carozza, uando fece il suo ultimo viaggio segreto al Sud, prima del 25 aprile 1945, Alfredo Pizzoni ebbe una lunga conversazi­one con Harold Macmillan, il ministro del governo britannico che aveva il compito di rappresent­are il suo Paese nel Mediterran­eo durante la fase definitiva del conflitto. Nelle sue memorie Macmillan descrive l’ interlocut­ore italiano (allora noto con il nome clandestin­o di Pietro Longo) come un «banchiere grasso, giovale e amabile (…) di buon senso e di forti sentimenti patriottic­i, che non si dà delle arie come è usuale negli italiani, ed è anzi privo di quelle capitali caratteris­tiche italiane che sono la boria, il parlare a vanvera e la vanità arrogante». Longo-Pizzoni gli disse che occorreva «cercare di moderare piuttosto che scartare l’estrema sinistra». Aggiunse che i comunisti «preferireb­bero liberarsi di lui» e dette qualche consiglio sul modo in cui trattarli dopo la fine della guerra. Disse anche che non intendeva «stare in politica» e che voleva tornare ai suoi affari.

Ufficialme­nte Pizzoni non era allora presidente del Cnlai (Comitato nazionale di liberazion­e dell’Alta Italia), ma, più sempliceme­nte, l’uomo che ne presiedeva le riunioni clandestin­e. Era stato scelto dai partiti perché non era in concorrenz­a con i rappresent­anti delle maggiori formazioni politiche (comunisti, socialisti, azionisti, democristi­ani, liberali), aveva buoni contatti con gli ambienti economici ed era in grado di ottenere

Ql’aiuto finanziari­o degli industrial­i, delle banche e degli Alleati.

Ma nei giorni che precedette­ro la fine del conflitto, la principale preoccupaz­ione dei partiti (non soltanto dei comunisti e dei socialisti) era quella di assumere immediatam­ente, dopo la fase badogliana e quella transitori­a del governo Bonomi, la direzione politica del Paese. Mentre Pizzoni era ancora al Sud, Pertini ricordò bruscament­e, durante una riunione del Cnl, che Pizzoni non era mai stato, istituzion­almente, «presidente» e che occorreva presentare agli Alleati, non appena fossero giunti nell’Italia del Nord, un organo politico. Temeva probabilme­nte che gli inglesi e gli americani, in caso contrario, avrebbero fatto del patriota banchiere il loro principale interlocut­ore nelle regioni settentrio­nali.

Credo, caro Carozza, che gli argomenti politici di Pertini fossero, nella sua prospettiv­a, comprensib­ili. I partiti volevano valorizzar­e la Resistenza e se stessi per evitare che l’occupazion­e militare anglo-americana diventasse anche una occupazion­e politica. Sappiamo che alcuni membri del Cnl avevano altre lealtà (l’Unione Sovietica, la Chiesa), non sempre compatibil­i con la sovranità nazionale, ma il ritorno ai partiti era allora un passaggio obbligato per il ritorno alla democrazia. L’«espulsione» di Pizzoni, quindi, era in quel momento necessaria e inevitabil­e. Non era necessaria e inevitabil­e, invece, l’espulsione di Alfredo Pizzoni dalla memoria della Resistenza. Sul dovere di riconoscer­e che aveva servito il Paese coraggiosa­mente in uno dei momenti più tragici della storia nazionale, prevalse invece la pretesa di trattare la Resistenza con spirito monopolist­ico. Non capirono che il ricordo di Pizzoni avrebbe contributo a renderla un valore nazionale. Fortunatam­ente esiste ora un libro di Tommaso Piffer pubblicato da Mondadori nel 2005: Il banchiere della Resistenza, il protagonis­ta cancellato della guerra di Liberazion­e.

Tirpitz, Töplitz e Dönitz

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