Corriere della Sera

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- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

A 35 anni, con una clavicola incollata, il radio rattoppato, due figli a carico, almeno un giorno in giallo/rosa/rosso nei tre grandi giri, con il mare a sinistra, il vento in faccia e una velata fragranza di polipo e patate nell’aria, a Simon Gerrans da Melbourne, Victoria, Australia, la vita non è mai sembrata così bella. Il direttore sportivo gli ha appena annunciato che nella crono a squadre, tra i nove marziani con la testa a uovo e le ghette aerodinami­che, sarà proprio lui a tagliare per primo il traguardo (regalo di compleanno, sabato prossimo) e il prescelto sta guidando il treno Orica, tutta gente che viene da down under tranne il colombiano Chaves Rubio, da San Lorenzo a Saremo. Simon conosce a menadito la strada: nel 2012, sul Lungomare Calvino, ha sbranato la Classiciss­ima: «Questo, per me, è un posto davvero speciale».

La ciclabile che corre sull’ex ferrovia (17,6 chilometri) s’imbuca in sottopassi oscuri, ha due svolte nervose a metà percorso, esce e rientra ad Arma di Taggia, diventa un budello di 7 metri di larghezza dopo la semicurva finale che immette sul rettilineo, là dove ci sono selfie e applausi per tutti: l’etiope della Lampre, il giapponese della Fantini, il cinese della Giant, l’enclave russa Katusha con l’imbucato barbuto Paolini, gli all italian boys della Bardiani, il giovane Rick Zabel (22 anni, figlio d’arte) e il vecchio Petacchi, che a 41 anni suonati è 127°, con onore, nel meraviglio­so bestiario umano di quest’avventura a due ruote appena iniziata.

La Orica stampa il miglior tempo (19’26’’, sesta media più veloce di sempre) succhiando l’aria allo squadrone Tinkoff di Alberto Contador e all’Astana di Fabio Aru, mentre la Quick Step di Rigoberto Uran galleggia e il Team Sky, solo nono, sprofonda insieme a Porte in un mare di delusione, perché nulla è scontato nel Giro d’Italia che ha preso il largo offrendo sorrisi e gloria a un australian­o nato per correre in motocross e riconverti­to alla bici dagli infortuni, ginocchio e legamenti assortiti, fino a diventare uomo da corse di un giorno (Liegi 2014).

Aveva già assaggiato il lato più dolce del Giro nel 2009, Gerrans, andando via sulla salita del santuario di San Luca, con Bologna ai suoi piedi, in una tappa del regno di Menchov.

Re della Riviera Il vincitore aveva conquistat­o la MilanoSanr­emo nel 2012: «Il mio posto speciale»

Danilo Di Luca, Mauro Santambrog­io, Matteo Rabottini.

«Una scelta etica», proclama Scinto, con la sua cadenza toscana di fucecchies­e estroverso: «Sia chiaro, io non avevo nessuna colpa. Ho avuto non dico paura, ma un dubbio. Ho detto: Luca, se nella tua testa non riesci a capire quando un tuo atleta è pulito e quando finge, è meglio che fai un passo indietro».

La speranza era che presto squillasse il telefono per un’altra proposta di lavoro, visto che Scinto non è proprio uno qualunque: dal 1994 al 2002 gregario di lusso, poi una gavetta da direttore fino al profession­ismo, curriculum ruspante, invidiabil­e. Intervista­to ovunque, cercato, riverito. Invece, non ha chiamato nessuno. E così Luca si accontenta di fare l’uomoimmagi­ne e di allenare una squadretta di giovani, il Team Ballerini. Ma non gli basta. Pur destinata a passare sulle spalle del compagno Michael Matthews, velocista puro, nella volata di oggi a Genova, la prima maglia rosa conferma pesantemen­te i sospetti della vigilia. Alberto Contador, che in partenza ha strigliato i suoi perché erano troppo lenti nel prepararsi per la crono, sarà l’uomo da battere da qui a Milano. Ma Fabio Aru, staccato di 6’’ in classifica dallo spagnolo e scortato dalla compagnia dei celestini come l’anno scorso Nibali al Tour, è vivo e lotta insieme a noi: «Risultato buono, per me e per la squadra. I «Soffro, lo ammetto, soffro a stare fuori dal ciclismo, la mia vita, ma è una scelta che mi farà tornare più forte domani». Intanto, dopo tante battaglie all’attacco, per quest’anno il Giro se lo guarderà la sera tardi in albergo. Nel 2016 si vedrà.

Stessa cosa per Stefano Zanatta, anche lui ex ciclista, anche lui ex direttore sportivo, autorevole, forte, capace di gestire una squadra e di dettare la tattica in corsa. Fino all’ultimo Tour, quando la Cannondale, ha mandato a casa gli italiani della squadra. E tra questi c’era L’ex Una immagine di Luca Scinto davanti al baracchino dove sponsorizz­a biciclette di pregio. Lo scorso anno ha lasciato il team Neri anche Zanatta, il ds che ha cresciuto niente meno che il giovane Vincenzino Nibali, oltre ad aver allenato le squadre dei migliori: due Giri vinti con Petacchi e Basso. Mica poco. Eppure oggi Zanatta, a 51 anni, si adegua a fare l’autista di tappa per gli ospiti del Giro. «Dopo 19 anni è la prima volta che sono fuori » . Non sembra perdere l’aplomb: un tipo elegante, poche parole, chiare. Pronunciat­e con un velo di color trevigiano. «La mia passione è crescere i giovani, credo di saperci fare. Ora sono disoccupat­o, e con qualche vantaggio… Mia moglie è contenta, mi dice: finalmente fai l’inverno a casa, senza telefoni che vanno in continuazi­one». Deluso? «Amareggiat­o ma sereno. Tanto lo sai che il nostro mestiere è una ruota che gira». Quanto alle due ruote, discorso rimandato all’anno prossimo. Si spera.

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