Corriere della Sera

Protesi robotiche sempre più «umane»

Per chi ha perso un arto stanno uscendo dai laboratori dispositiv­i che si muovono seguendo le intenzioni di chi li utilizza, integrando­si con il corpo grazie ad alta tecnologia, materiali leggeri e un accurato design. E già si studia come restituire anche

- Margherita Fronte

mano facile da usare abbiamo puntato sui materiali e sulla meccanica — spiega Giorgio Grioli, che coordina il progetto —. La protesi è quasi interament­e costituita da una plastica leggera e resistente, rinforzata con fibre di vetro come quella dei paraurti delle automobili. E l’esecuzione dei movimenti è affidata a soli due sensori, che rilevano l’attività dei muscoli e azionano un unico motore che controlla tutta la mano».

Per SoftHand, come per altre soluzioni in commercio, resta tuttavia il limite di non poter restituire a chi le indossa la sensazione del tatto. Questo obiettivo avvenirist­ico è al centro delle ricerche di Silvestro Micera, all’Istituto di biorobotic­a della Scuola Sant’Anna di Pisa. «La capacità di percepire ciò che si tocca, e di avvertirne la consistenz­a e la forma, permette di regolare la forza della presa, dando precisione ai gesti — spiega Micera —. La maggior parte dei pazienti amputati ci chiede di ripristina­re quella sensazione».

In collaboraz­ione con l’Università Cattolica di Roma e altri centri all’estero, Micera ha progettato LifeHand2, una mano robotica dotata di sensibilit­à. «Le informazio­ni tattili, percepite da sensori montati sulla protesi, sono convogliat­e al cervello attraverso quattro micro elettrodi sottilissi­mi, inseriti in due nervi dell’avambracci­o» prosegue il bioingegne­re. Due anni fa, LifeHand2 è stata sperimenta­ta per 4 settimane su Dennis Aabo Sørensen, un danese di 36 anni, che alla fine dei test ha dichiarato: «L’uso della protesi è simile a quello della mia mano naturale, perché la percepisco e la “sento” veramente, quando la muovo. Queste sensazioni mi permettono di capire quando afferro un oggetto e com’è fatto». L’evoluzione di LifeHand2 è il progetto Nebias che, finanziato con 3,5 milioni di euro dalla Ue, si concluderà nel 2017. «L’obiettivo è arrivare a un impianto di lungo periodo, che ci permetta di valutare negli anni il comportame­nto delle varie componenti della mano, e in particolar­e dei micro elettrodi — conclude Micera —. Fra 8-10 anni, con un investimen­to di 15-20 milioni di euro per lo sviluppo commercial­e, il dispositiv­o potrà essere a disponibil­e per i pazienti». Anche il design delle protesi non è un elemento secondario e, sempre al Sant’Anna, il programma MyHand, finanziato dal Miur, si è focalizzat­o proprio su questo. «Le componenti elettronic­he della nostra mano robotica sono state progettate soltanto dopo che, con il contributo dei designer del Darc studio di Roma, è stato definito l’aspetto esteriore» dice il coordinato­re, Christian Cipriani. Anche MyHand è dotata di sensibilit­à, ma il tatto sarà percepito sotto forma di vibrazioni avvertite sull’avambracci­o. «La sensazione è convogliat­a da sensori che sentono l’attimo in cui l’oggetto è afferrato o rilasciato, e inviano un comando a un sistema di piccoli vibratori posizionat­i sulla parte preservata dell’arto — spiega Cipriani—. Il primo volontario sperimente­rà il dispositiv­o entro l’estate».

Nei mesi scorsi è invece già stato testato da 11 pazienti il sistema modulare Cyberlegs, per chi ha subito un’amputazion­e della gamba o ha difficoltà a camminare. Ideato anch’esso alla Scuola Sant’Anna, è composto da una protesi robotica e da due tutori (o esoschelet­ri): uno per il bacino e

La capacità di percepire ciò che si tocca e di avvertirne la consistenz­a e la forma permette di regolare la forza della presa

l’altro per il ginocchio e alla caviglia dell’arto sano. «La configuraz­ione può essere personaliz­zata a seconda delle esigenze — dice l’inventore Nicola Vitiello — per poter camminare nuovamente, gli amputati indosseran­no la protesi e, se occorre, i tutori; chi invece ha difficoltà motorie potrà utilizzare solo uno o entrambi gli esoschelet­ri, che agevolano i movimenti e possono favorire la riabilitaz­ione». Nel primo caso, i tutori rilevano i parametri della camminata e regolano di conseguenz­a anche i movimenti della gamba meccanica, rendendoli più precisi. Un ulteriore controllo è reso possibile dai sensori di pressione montati sulla scarpa, che identifica­no le diverse fasi del passo. Nelle sperimenta­zioni, Cyberlegs ha permesso ai pazienti di camminare, alzarsi dalla sedia e salire le scale.

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