Roberto Chiesa
Direttore Cattedra di chirurgia vascolare, Univ. Vita-Salute San Raffaele di Milano
Molti scoprono di averla solo dopo che il danno è fatto: la stenosi carotidea è infatti uno dei maggiori fattori di rischio per l’ictus ischemico. «Si tratta di una patologia delle arterie carotidi, i due grossi vasi sanguigni alla base del collo, che con le ramificazioni irrorano cervello e volto — spiega Roberto Chiesa, direttore della Cattedra di chirurgia vascolare dell’Università VitaSalute S. Raffaele di Milano —. La stenosi consiste in un restringimento del lume della carotide, che ha come conseguenza un minor apporto di sangue al cervello». A che cosa è dovuta? «È causata dall’aterosclerosi, che comporta la deposizione progressiva di grassi e altre sostanze (placca aterosclerotica) nelle pareti arteriose, determinandone il restringimento, fino all’occlusione. A volte da questi “depositi” si staccano frammenti ( emboli ), che vanno a occludere le ramificazioni cerebrali ( trombosi), con danni più o meno rilevanti. La stenosi carotidea è favorita da numerosi fattori di rischio, tra cui: ipertensione, fumo, avanzare dell’età, livelli elevati di colesterolo, obesità, familiarità, diabete, sedentarietà». Come si manifesta? «È una condizione che si sviluppa lentamente e spesso passa inosservata, perché il ridotto afflusso di sangue al cervello attraverso una carotide può essere compensato dall’altra e dalle arterie vertebrali. Nella maggior parte dei casi il primo indizio è già molto grave, perché può essere un attacco ischemico transitorio (Tia) o, peggio, un ictus cerebrale. Il Tia è dovuto a un’ischemia cerebrale transitoria di breve durata, da meno di un’ora a 48 ore circa. Nell’ictus si verifica un’interruzione dell’irrorazione sanguigna più lunga e in una più vasta area cerebrale. In entrambi casi il paziente può avvertire una serie di sintomi, tra cui improvviso intorpidimento del volto, debolezza degli arti fino alla paralisi (spesso su un solo lato del corpo), visione doppia o annebbiata, difficoltà a parlare e a comprendere. Nel Tia i disturbi sono passeggeri e sfumati; nell’ictus duraturi e invalidanti. Se si verifica uno di questi sintomi bisogna cercare cure d’emergenza». Come si riconosce la stenosi carotidea? «Spesso la diagnosi è casuale nel corso di accertamenti fatti per altri motivi. La presenza della stenosi può essere rilevata con un esame non invasivo: l’eco- colordoppler che verifica la presenza della placca, l’entità del restringimento che determina, le sue caratteristiche, per esempio se è “dura” o “molle” (nel secondo caso è più incline a causare episodi trombotici o embolici cerebrali). L’eco-colordoppler è molto utile anche per controllare chi è a rischio, specie dopo i 45-50 anni. Se si rileva una stenosi, possono essere indicati altri approfondimenti, tra cui l’angio- Tac o l’angio- Rm e, in casi selezionati, la più invasiva arteriografia cerebrale». Che cosa si può fare? «Il trattamento dipende dall’entità della stenosi e dalle probabilità di sviluppare embolie cerebrali. In genere, quando la stenosi è inferiore al 50-60% si interviene sullo stile di vita e con farmaci mirati per controllare i fattori di rischio. Quando la stenosi è del 70%, occorre intervenire chirurgicamente o con metodiche percutanee (angioplastica con stent) anche senza sintomi (perché è molto elevato il rischio di ictus). Per stenosi tra il 60 e il 70% , la decisione di intervenire o meno dipende da diversi fattori come, per esempio, la presenza di sintomi e le caratteristiche della placca (“dura” o “molle” e quindi più propensa a dare emboli)».