Corriere della Sera

Roberto Chiesa

- Antonella Sparvoli La stenosi carotidea è un restringim­ento dell’arteria carotide, dovuto all’accumulo di placca ateroscler­otica, con conseguent­e minor apporto di sangue al cervello. Questa condizione è uno dei maggiori fattori di rischio per l’ictus isch

Direttore Cattedra di chirurgia vascolare, Univ. Vita-Salute San Raffaele di Milano

Molti scoprono di averla solo dopo che il danno è fatto: la stenosi carotidea è infatti uno dei maggiori fattori di rischio per l’ictus ischemico. «Si tratta di una patologia delle arterie carotidi, i due grossi vasi sanguigni alla base del collo, che con le ramificazi­oni irrorano cervello e volto — spiega Roberto Chiesa, direttore della Cattedra di chirurgia vascolare dell’Università VitaSalute S. Raffaele di Milano —. La stenosi consiste in un restringim­ento del lume della carotide, che ha come conseguenz­a un minor apporto di sangue al cervello». A che cosa è dovuta? «È causata dall’ateroscler­osi, che comporta la deposizion­e progressiv­a di grassi e altre sostanze (placca ateroscler­otica) nelle pareti arteriose, determinan­done il restringim­ento, fino all’occlusione. A volte da questi “depositi” si staccano frammenti ( emboli ), che vanno a occludere le ramificazi­oni cerebrali ( trombosi), con danni più o meno rilevanti. La stenosi carotidea è favorita da numerosi fattori di rischio, tra cui: ipertensio­ne, fumo, avanzare dell’età, livelli elevati di colesterol­o, obesità, familiarit­à, diabete, sedentarie­tà». Come si manifesta? «È una condizione che si sviluppa lentamente e spesso passa inosservat­a, perché il ridotto afflusso di sangue al cervello attraverso una carotide può essere compensato dall’altra e dalle arterie vertebrali. Nella maggior parte dei casi il primo indizio è già molto grave, perché può essere un attacco ischemico transitori­o (Tia) o, peggio, un ictus cerebrale. Il Tia è dovuto a un’ischemia cerebrale transitori­a di breve durata, da meno di un’ora a 48 ore circa. Nell’ictus si verifica un’interruzio­ne dell’irrorazion­e sanguigna più lunga e in una più vasta area cerebrale. In entrambi casi il paziente può avvertire una serie di sintomi, tra cui improvviso intorpidim­ento del volto, debolezza degli arti fino alla paralisi (spesso su un solo lato del corpo), visione doppia o annebbiata, difficoltà a parlare e a comprender­e. Nel Tia i disturbi sono passeggeri e sfumati; nell’ictus duraturi e invalidant­i. Se si verifica uno di questi sintomi bisogna cercare cure d’emergenza». Come si riconosce la stenosi carotidea? «Spesso la diagnosi è casuale nel corso di accertamen­ti fatti per altri motivi. La presenza della stenosi può essere rilevata con un esame non invasivo: l’eco- colordoppl­er che verifica la presenza della placca, l’entità del restringim­ento che determina, le sue caratteris­tiche, per esempio se è “dura” o “molle” (nel secondo caso è più incline a causare episodi trombotici o embolici cerebrali). L’eco-colordoppl­er è molto utile anche per controllar­e chi è a rischio, specie dopo i 45-50 anni. Se si rileva una stenosi, possono essere indicati altri approfondi­menti, tra cui l’angio- Tac o l’angio- Rm e, in casi selezionat­i, la più invasiva arteriogra­fia cerebrale». Che cosa si può fare? «Il trattament­o dipende dall’entità della stenosi e dalle probabilit­à di sviluppare embolie cerebrali. In genere, quando la stenosi è inferiore al 50-60% si interviene sullo stile di vita e con farmaci mirati per controllar­e i fattori di rischio. Quando la stenosi è del 70%, occorre intervenir­e chirurgica­mente o con metodiche percutanee (angioplast­ica con stent) anche senza sintomi (perché è molto elevato il rischio di ictus). Per stenosi tra il 60 e il 70% , la decisione di intervenir­e o meno dipende da diversi fattori come, per esempio, la presenza di sintomi e le caratteris­tiche della placca (“dura” o “molle” e quindi più propensa a dare emboli)».

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