Il conflitto
Marzo 2011 Dopo l’arresto di un gruppo di ragazzi per dei graffiti anti Assad, iniziano le proteste. L’esercito risponde con la violenza
Luglio 2011 Un gruppo di ufficiali disertori proclama l’Esercito libero siriano (Fsa). Scoppia la guerra civile
Inizio 2012 Miliziani qaedisti fondano Al Nusra
Febbraio 2012 Inizia l’assedio di Homs
Aprile 2013 Al Baghdadi proclama la nascita dell’Isis
Agosto 2013 Armi chimiche contro i civili a Ghouta, vicino Damasco
Ottobre 2013 Assad autorizza ispettori Onu per distruggere l’arsenale chimico
Settembre 2014 Raid Usa e di 5 Paesi arabi contro l’Isis
Gennaio 2015 Dopo 4 mesi di scontri con l’Isis, Kobane torna ai curdi
In Siria si continua a soffrire e morire. Dalle regioni lungo il confine turco, alla città martire di Aleppo, presso l’enclave alawita leale al regime di Bashar Assad tra Latakia e Tartus, attorno a Damasco, sino alle zone confinarie con la Giordania: nulla e nessuno è risparmiato. L’attenzione dei media internazionali pare essersi come affievolita di fronte alle continue, ripetitive cronache di massacri, torture, violenze. Ma non parlarne non significa che l’orrore non avvenga, tutt’altro: a oltre quattro anni dall’inizio della guerra civile, la situazione non fa che peggiorare. I dati approssimativi dei morti superano quota 220.000, gli sfollati sono oltre 15 milioni, il Paese è prostrato, sempre più brutalizzato.
A ricordarci il quotidiano del «girone infernale in Siria» è l’ultimo rapporto di Amnesty International, pubblicato il 4 maggio, il giorno prima dell’avvio della nuova tornata di contatti a Ginevra volti a cercare di lenire il conflitto, che però sembra già arenata. Il documento avanza accuse specifiche contro le tattiche repressive utilizzate dall’esercito di Bashar Assad nella regione di Aleppo. In particolare, torna a definire «crimine di guerra» il continuo utilizzo dei «barili bomba» lanciati dagli elicotteri governativi sui quartieri civili. Pare che nel solo 2014 abbiano causato la morte di oltre 3.000 civili e più di 11.000 dal 2011.
La strategia del governo è poco mutata rispetto ai mesi iniziali delle rivolte: creare il panico nelle zone controllate dai nemici, paralizzare la vita dei civili, le scuole, i mercati, distruggere gli ospedali, uccidere medici e infermieri, bloccare le infrastrutture, sino a spingere la popolazione a desiderare la restaurazione della dittatura pur di farla finita con violenza e caos. Dichiara Philip Luther, responsabile di Amnesty per il Medio Oriente, riferendosi a queste armi tanto brutali quanto primitive (grossi cilindri ripieni di esplosivo e frammenti metallici per rendere più letale lo scoppio): «Le atrocità dilaganti, soprattutto raid aerei feroci e disumani sulle zone residenziali, hanno reso la vita sempre più insopportabile per la popolazione». Per contro, i mortai utilizzati in modo «poco accurato» dai ribelli l’anno scorso avrebbero causato la morte di almeno 600 persone nei quartieri filoregime di Aleppo.
A puntare il dito contro Assad e i suoi soldati sono anche gli ispettori internazionali della Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (Opcw), l’organismo addetto al monitoraggio delle armi chimiche, i quali sostengono di avere nuove prove del recente utilizzo di gas Sarin e nervino modello Vx da parte dei filogovernativi. Dopo le accuse per le stragi «non convenzionali» nel 2013 e le intese negoziate anche tra Washington e Mosca l’anno scorso, il presidente siriano aveva accettato di far distruggere le 1.300 tonnellate di agenti chimici conservate nei suoi arsenali. Ma nuovi massacri lo riportano al tavolo degli accusati. «Abbiamo forti indicazioni che a Damasco ci abbiano mentito» accusano i responsabili dello Opcw.
Tutto ciò mentre i combattimenti si acuiscono. Dopo le vittorie riportate dai lealisti ad inizio anno, negli ultimi mesi brigate ribelli hanno ripreso l’iniziativa. Loro punto di forza sono le recenti intese tra lo Stato