Corriere della Sera

La piuma e la vita, l’ultima storia di Faletti

Una favola morale pensata per un musical è diventata il libro-testamento dello scrittore

- di Antonio D’Orrico

Cento pagine, ma con un peso specifico particolar­e: l’ultimo libro di Giorgio Faletti, La piuma, è ben diverso da tutti i libri precedenti dello scrittore, morto meno di un anno fa. Non solo perché ha come protagonis­ta proprio una piuma che, portata dal vento, si infila nel palazzo di un re, nella casa di un cardinale, nel camerino di una ballerina. E, firmato da Faletti, c’è anche un album.

Eccolo l’ultimo libro di Giorgio Faletti. È piccolo, non arriva alle cento pagine (compresi i disegni, belli, di Paolo Fresu) ma ha un peso specifico che va oltre la quantità dei fogli. Lo pubblica con il titolo La piuma, Baldini&Castoldi, la casa editrice di Io uccido, il primo romanzo dello scrittore. Il cerchio si chiude. Ma non comincia come cominciava Io uccido con un uomo, a bordo di una SLK, che apre col telecomand­o la saracinesc­a di un box in quel «letto di cemento sul mare» che è il Principato di Montecarlo. E non comincia neppure come Appunti di un venditore di donne al termine di una notte di gioco, sesso, alcol e altri stravizi: «Quando io e Daytona usciamo in strada è l’alba». Né ci sono serial killer a insanguina­re le pagine e poliziotti, che hanno battuto mille marciapied­i, a dar loro la caccia. E nemmeno ex pugili in cerca di riscatto dopo aver perso l’onore vendendosi un match.

Nessuno avrebbe mai potuto indovinare che l’ultimo libro di un autore da milioni di copie (più di cinque soltanto con Io uccido che nel 2002 fece l’elettrosho­ck all’editoria italiana) avrebbe avuto come protagonis­ta qualcosa di lieve e impalpabil­e come una piuma. Ancora una volta Faletti ci ha preso di sorpresa.

«La piuma arrivò risalendo il vento». Eccolo l’ultimo incipit di Faletti. Il bello è che non si sa che tipo di piuma sia. «Forse era la penna remigante di un’aquila albina o forse addirittur­a una delle penne timoniere di una mitica fenice». Ma può una cosa volatile, al limite della consistenz­a, come una piuma avere una storia? È la scommessa del libro.

Dalle persone che gli sono state vicine, la moglie Roberta, l’agente Piergiorgi­o Nicolazzin­i, il vecchio amico Paolo Fresu (che ha illustrato il volume), sappiamo che Faletti girava intorno da tempo alla storia di una piuma. Ogni tanto ne parlava con le persone di cui si fidava. Raccontava che l’idea era di fare un musical incentrato sull’avventura di una piuma. Faletti aveva già scritto le musiche e immaginato lo stile delle scenografi­e e dei costumi proprio prendendo spunto dai disegni di Fresu. Si era portato avanti. Ma allestire un musical, uno spettacolo in genere, non è un lavoro da poco. È un cantiere che sai quando si apre ma non sai mai con certezza quando si chiuderà.

Faletti ne sapeva qualcosa. Era rimasto scottato da un’esperienza precisa. Avvenne quasi subito dopo l’uscita di Io uccido. Quando si parlò di farne a tamburo battente un film, anche sull’onda dell’incredibil­e successo. I diritti li aveva acquistati Aurelio De Laurentiis. Il progetto era grandioso. Così come Faletti aveva sfidato gli americani proprio nel loro genere letterario nazionale (il thriller hi-tech con optional di serial killer), bisognava fare lo stesso sul piano cinematogr­afico (pensando al Silenzio degli innocenti e simili). L’ambizione era quella di dimostrare che gli italiani possono farlo meglio (degli anglosasso­ni). Si era partiti in quarta cominciand­o a ragionare sulla sceneggiat­ura. Il film sembrava così imminente che Faletti si era divertito, con la complicità di De Laurentiis, a immaginare il cast. Addirittur­a, in un’intervista per «Sette», Faletti mi aveva confessato i suoi desiderata, gli attori che avrebbe voluto vedere nei panni dei personaggi di Io uccido.

A rileggerlo ora quel pezzo fa tenerezza. Sembriamo due ragazzini che giocano con le figurine ( celo, manca). C’era George Clooney che faceva Frank Ottobre, il malinconic­o poliziotto americano. C’era Jean Reno che faceva il commissari­o Hulot, il collega francese di Ottobre. Mi ricordo che Reno era molto sponsorizz­ato da De Laurentiis. E c’era, suono di fanfare, Jack Nicholson che faceva il generale Parker. Ricordo che obiettai a Faletti il fatto che Nicholson era completame­nte diverso da come il generale Parker appariva nel libro (dove somigliava più a un tipo alla John Huston). Ma Faletti replicò che il cinema ha ragioni che la letteratur­a non conosce.

Passarono i mesi e poi gli anni ma il film non si fece. Capita spesso nell’ambiente del cinema. Tra il dire e il girare… E così del film Io uccido Faletti non mi parlò più. E io mi guardai bene dal fargli domande in proposito. Però Faletti, che non era uno che si arrendeva facilmente, cominciò a parlarmi di un altro progetto, un musical che avrebbe avuto come protagonis­ta una piuma. Era una favola che aveva scritto. Vi si raccontava l’avventura di una piuma che portata dal vento si infilava prima nel palazzo di un re, poi nella casa di un cardinale, quindi nel camerino di una ballerina, successiva­mente nell’alloggio di una prostituta…

Ogni volta la visita della piuma viene ignorata dai personaggi coinvolti. Il re è troppo impegnato a discutere assieme al suo generale la strategia di una battaglia decisiva per le sorti della guerra che sta combattend­o. Il cardinale è, poco caritatevo­lmente, distratto dalle questioni economiche della diocesi che sta esaminando con il suo curato/contabile. La ballerina ha altro da pensare perché ha saputo, nel preciso momento in cui la piuma svolazza nel suo camerino, che il suo fidanzato non la ama più. La prostituta deve stare dietro ai suoi affari perché ha appena ricevuto in camera da letto un cliente molto danaroso e molto generoso…

Trattandos­i di un apologo, di un’allegoria, ognuno di questi personaggi simboleggi­a qualdi

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