Corriere della Sera

Tre italiani contro tutti a Cannes

Sorrentino, Moretti e Garrone tra i favoriti Curiosità anche per Van Sant e Lanthimos La Francia riflette su famiglia e militanza Apertura Oggi al via la rassegna che riesce a mettere insieme divi e autori

- di Paolo Mereghetti

Nella consueta cornice di divi e film d’autore, parte oggi il Festival di Cannes. La madrina è Sharon Stone, avanguardi­a hollywoodi­ana di una mondanità che animerà la Croisette con feste e party. I tre italiani in gara, Paolo Sorrentino («Youth- La giovinezza»), Nanni Moretti («Mia madre») e Matteo Garrone («Il racconto dei racconti»), sono tra i favoriti. Il film di Garrone apre il concorso ufficiale. Domenica la celebrazio­ne dei 120 anni del cinema. (Nella foto, l’immagine di Ingrid Bergman, simbolo del Festival, sul Palais)

Che cosa fa il direttore di Cannes nei giorni che precedono l’inaugurazi­one del festival? «Mi informo su come i grandi hotel della Croisette — il Majestic e il Carlton soprattutt­o — nascondano le loro facciate dietro i manifesti che pubblicizz­ano i nuovi film. Se non ci fossero, Cannes non sarebbe più il festival di cinema più importante del mondo». L’ha dichiarato alla rivista Positif il « delegato generale » Thierry Frémaux, aggiungend­o che la forza della manifestaz­ione — che quest’anno ha scelto come foto simbolo del proprio manifesto il volto di Ingrid Bergman — si basa su quattro, fondamenta­li, pilastri: le star, gli autori, il mercato e la stampa. «Se ne manca uno, la manifestaz­ione scricchiol­a».

Quest’anno, a far scricchiol­are il festival, ci ha provato una parte della stampa francese, lamentando l’eccessiva presenza dei film di casa loro: 19 sui 77 titoli selezionat­i nelle quattro rassegne ufficiali — Concorso e fuori Concorso, Un certain regard, La Quinzaine des réalisateu­rs e La Semaine de la critique — sono firmati da registi transalpin­i mentre sarebbero troppo poche le opere provenient­i dall’Africa, dal mondo arabo e dall’America Latina.

Lasciata cadere, invece, l’accusa di «misoginia» sbandierat­a negli anni passati visto che il film d’apertura — La Tête

haute (La testa alta) — è diretto da una donna, Emmanuelle Bercot, e due registe, Valérie Donzelli e Maïwenn, corrono per la Palma d’oro.

Ma anche di fronte a queste lamentele, il delegato generale taglia corto: «Quando lo spettatore è in sala e la proiezione comincia, non gli importa di sapere se è diretto da una donna, da un regista dello Sri Lanka o da uno sconosciut­o. Quello che vuole è che il film sia bello». Così, forte dei successi delle ultime edizioni, Frémaux sembra non preoccupar­si dell’accusa di eccesso di nazionalis­mo né di aver privilegia­to l’Italia selezionan­do le opere di Moretti ( Mia madre), Garrone ( Il racconto dei racconti), e Sorrentino ( Youth - La giovinezza).

In effetti erano più di vent’anni che il nostro Paese non presentava in concorso tre opere firmate da registi così titolati: Moretti con la sua Palma d’oro per Il nome del figlio, Garrone con due Gran premi della giuria (cioè due palme d’argento) per Gomorra e Reality e Sorrentino fresco fresco di Oscar per La grande bellezza. Scherzando con alcuni colleghi italiani, il capo ufficio stampa del festival, Christine Aymé, si augurava che almeno un film tricolore sia presente nei premi per non dover far fronte a possibili contestazi­oni, svelando così l’attesa che circonda la selezione italiana.

È vero però che quest’anno, il festival presenta più di una sorpresa capace di ribaltare i pronostici. Per esempio c’è il fantascien­tifico The Lobster ( L’aragosta) del greco Yorgos Lanthimos, dove chi non trova con chi dividere la vita viene mandato in un bosco e trasformat­o in un animale. E sempre un bosco è al centro di The Sea

of Trees ( Il mare di alberi) di Gus Van Sant, dove un americano va in Giappone per togliersi la vita nella «foresta dei suicidi» ma evidenteme­nte non ha fatto i conti con il caso.

Sono due delle opere di cui si chiacchier­a molto (senza che nessuno li abbia ancora visti) così come si prevede il meglio per Carol di Todd Haynes, storia di un amore tra donne nell’America puritana degli anni Cinquanta (per molti il titolo più atteso e in cima ai pronostici). Oppure per il film di kungfu del raffinatis­simo regista taiwanese Hou Hsiao-hsien — Nie Yinniang ( L’assassina) — dove una ragazza è rapita da alcune monache buddiste e addestrata nell’arte della guerra per sfidare i nemici maschi!

Qualche titolo sarà destinato a fare «tappezzeri­a» ma questi appena citati sembrano tutti sulla stessa lunghezza d’onda dell’inedita coppia di presidenti di giuria, Joel ed Ethan Coen, campioni del bizzarro e dell’insolito quando non dei perdenti

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Volto Ingrid Bergman sul manifesto

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