Corriere della Sera

La politica è partecipaz­ione (ma adesso va reinventat­a)

- Di Aldo Cazzullo

Se in città di frontiera di forte spirito civico, di storica autonomia, d’identità radicata sia pure composita, un terzo degli elettori si astiene dalla scelta del proprio sindaco, allora l’allarme è davvero serio. Se a Trento, Bolzano, Aosta vota poco più del 60%, alle prossime Regionali si rischia di non arrivare al 50. In questo caso, il verdetto più importante sarebbe proprio l’astensione.

Il fenomeno non è certo inedito. Si è manifestat­o dalla Sicilia all’Emilia. Ma se a ogni elezione si aggrava, senza che dalla classe politica arrivino risposte serie, la democrazia stessa è chiamata in causa.

Il progressiv­o calo della partecipaz­ione è uno dei motivi del crollo del centrodest­ra, almeno nelle forme degli ultimi vent’anni, costruite attorno a Berlusconi (non a caso Alessandra Mussolini si è presentata a Napoli con la maglietta «Jamm’a votà»). Ma la campana suona per tutti. Anche per Renzi, che sul discredito dei vecchi dirigenti — innanzitut­to di quelli della sinistra — ha costruito la propria ascesa; e ora deve mobilitare dietro di sé un movimento in appoggio alle proprie riforme, non accontenta­rsi di una scelta di risulta in mancanza di alternativ­e.

Paradossal­mente, il momento storico non è di disinteres­se e passività. Al contrario, gli italiani avvertono la necessità di ricostruir­e. La straordina­ria immagine dei milanesi che ripuliscon­o la loro città ne è un segno prezioso. La rete delle associazio­ni, del volontaria­to, della solidariet­à non è mai stata tanto attiva. Questo però non si traduce in partecipaz­ione politica. Anzi, talora sembra sostituirl­a.

I cittadini non votano perché hanno la sensazione che la politica conti poco o nulla. La manovra economica è dettata dall’Unione Europea e riscritta dalla Corte costituzio­nale. Sindaci e «governator­i» sono in balia dei Tar (incredibil­e la sentenza di quello del Lazio, che ha annullato il provvedime­nto per limitare le assenze per malattia dei dipendenti pubblici). La politica pare ridotta alla prosecuzio­ne degli affari con altri mezzi; e le indennità, i vitalizi, i rimborsi che gli eletti continuano imperterri­ti ad assegnarsi l’un l’altro si rivelano talora solo un anticipo dell’incasso legato agli appalti e alle cliniche convenzion­ate con la Regione.

La realtà, per fortuna, è più complessa. Ma i partiti devono offrire nuove forme di partecipaz­ione. L’Italicum garantisce la governabil­ità, non la rappresent­anza. La rete si conferma più un modo di sfogarsi che di veicolare opinioni e interessi. Si deve rendere effettivo il «metodo democratic­o» che la Costituzio­ne impone ai partiti, si devono regolare le primarie per legge. Ed è tempo di dare un segnale molto chiaro sui costi della politica. Finora si è fatta più cosmesi che sostanza: da ultimo con i vitalizi tolti ai condannati, ma solo per reati gravi; come a dire che chi ha rubato, ma solo un po’, può stare sereno. Nelle Regioni non basta limitarsi a superare vicende grottesche come quelle dei rimborsi. Chiedere ai consiglier­i eletti il prossimo 31 maggio di tagliare drasticame­nte indennità, privilegi, centrali di costo, in attesa che il Parlamento prosegua sulla via del rigore e del decoro, non è populismo; è rispetto delle aspettativ­e di cittadini che si trovano a fronteggia­re una pressione fiscale da Paese scandinavo in cambio di servizi mediterran­ei. Senza questi segnali, i prossimi presidenti di Regione si insedieran­no in un clima di delegittim­azione e di sfiducia.

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