Corriere della Sera

L’austerità che funziona

- di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

David Cameron ha vinto le elezioni dopo aver perseguito politiche fiscali prudenti, ovvero la cosiddetta austerità. Dovremmo forse sorprender­ci?

Dovremmo sempre attenderci, comunque e dovunque, che gli elettori premino i governi spendaccio­ni che non si preoccupan­o dei deficit? Dovremmo sempre aspettarci che politiche di austerità siano bocciate dagli elettori?

Non è così, su entrambi i fronti. La storia insegna che gli elettori capiscono bene, e molto più di quanto gli si dia credito, le difficoltà in cui il loro Paese si trova. Non è la prima volta che governi che hanno seguito politiche fiscali prudenti sono rieletti. Accadde, ad esempio, in Canada e in Svezia negli Anni 90 nel mezzo di drastiche politiche di austerità, molto più draconiane di quelle attuate dal governo di Cameron.

Non è neppure vero che la Gran Bretagna abbia sofferto in maniera sproposita­ta per i tagli dei conservato­ri: il Paese oggi cresce al 2,5 per cento e la disoccupaz­ione è la metà di quella italiana. Non tutte le austerità sono uguali fra loro. Quelle basate su tagli di spesa (come ha fatto Cameron) sono molto meno costose di quelle basate su aumenti della pressione fiscale. Se poi i tagli di spesa sono accompagna­ti da riforme dal lato dell’offerta (riforme del mercato del lavoro e liberalizz­azioni) possono non costare nulla, anzi, addirittur­a talvolta essere espansive, anche nel breve periodo.

In Europa, negli ultimi 4-5 anni la crisi del debito ha costretto molti Paesi a politiche di austerità front leaded. Cioè non è stato possibile, in questi Paesi, distribuir­e la correzione dei conti pubblici su un periodo più lungo, obbligando i governi ad attuarla in un momento in cui la politica monetaria poteva aiutare relativame­nte poco. In molti casi, come il nostro, la fretta e l’emergenza imposte dalla crisi sul debito ci ha portato a fare la cosa più semplice: aumentare le tasse, come è accaduto nel 2011-12, invece di tagliare la spesa. L’esperienza inglese dimostra che il problema non è l’austerità ma non lasciar crescere il debito e tagliare le spese, cominciand­o da quelle meno produttive.

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