Le rimozioni boomerang di Crocetta
Guadagnò le vetrine televisive di prima serata Rosario Crocetta, appena insediatosi, nel 2012, quando scoprì esterrefatto che al governatore della Sicilia «spettavano» più giornalisti di Barack Obama alla Casa Bianca. Decise immediatamente di sbaraccare l’ufficio stampa licenziando i 24 addetti, quasi tutti col grado di caporedattore. Scattò allora l’epoca dei grandi annunci, a cominciare dall’abolizione delle nove Province siciliane. Record italiano, come si disse all’Arena di Giletti. Passati tre anni però le Province resistono, amministrate da commissari piazzati proprio dal governatore. E dei giornalisti i primi due vincono una causa che rimette tutto in discussione. Crocetta infatti li cacciò sostenendo che il rapporto fosse di natura «meramente fiduciaria e di collaborazione» con i suoi predecessori, con Lombardo e Cuffaro, due traversie giudiziarie sbandierate come contraltare per esaltare l’immagine del nuovo governatore. Ma la Corte d’appello di Palermo, sezione Lavoro, ha appena riconosciuto il rapporto di lavoro dipendente con la Regione dei giornalisti Gregorio Arena e Giancarlo Felice, per vent’anni in quell’affollato ufficio. Quasi considerata in toto connivente con i passati sistemi di potere, per l’Assostampa suonano le trombe del riscatto. Un po’ come accade sul Parco delle Madonie dove il presidente Angelo Pizzuto, defenestrato per due volte da Crocetta, viene reintegrato dal Consiglio di Giustizia amministrativa, in Sicilia organo di appello del Tar. Altra smentita. In sordina. Senza tv.