Il disco, lo spettacolo: la musica continua
è la grande lezione di Gaber, ma c’è soprattutto la voglia di raccontare schegge di vita senza seguire rassicuranti rituali letterari, tantomeno sonori. È la sensazione che si prova nell’ascoltare L’ultimo giorno di sole, l’album postumo di Giorgio Faletti interamente composto (testi e musiche) dall’autore prematuramente scomparso lo scorso anno. Il disco, che esce il 26 maggio, mette insieme i brani dell’omonimo spettacolo che Faletti scrisse per la sua amica Chiara Buratti. Spettacolo che debutterà ad Asti il 4 luglio, giorno dell’anniversario della morte di Faletti. In scena ci sarà Chiara (accompagnata dalla pianista Giulia Mazzoni) a cantare i brani finiti su disco intervallati da sette monologhi. Nemmeno un chilo, La donna che non c’era, Unisex, Confessioni di un pianoforte sono alcuni dei pezzi (arrangiati da Andrea Mirò) che si inseguono nel cd assumendo l’aspetto di «racconti nel racconto», di suggestioni afferrate al volo da Giorgio e fermate su carta. Per rimettere insieme le tante emozioni di un mondo visto da un artista che così tornerà a nascere il 4 luglio. più chiare, a costruire melodie». Ecco, La piuma è una favola che non sembra scritta con i tasti del computer ma con quelli del pianoforte.
Più di ogni altra cosa, Faletti sognava di diventare un grande cantante e musicista. Già ai tempi di Drive In, la trasmissione che negli anni Ottanta lo lanciò come comico, lo prendevano in giro per questo suo debole canoro. Non gli è bastato quasi vincere da perfetto outsider un Festival di Sanremo (con il rap antimafia Signor tenente), non gli è bastato che Mina abbia dato un’accorata, struggente interpretazione di Compagna di viaggio, una delle sue canzoni più belle e delicate, Faletti avrebbe voluto di più dalla musica e avrebbe voluto dare di più alla musica. La lontanissima origine della Piuma è proprio in una canzone scritta da Faletti per Angelo Branduardi, La regola del filo a piombo. I primi versi dicono: «Anche il peso di una piuma scende / se c’è un soffio d’aria che se la riprende / per follia di vento può salire su ma poi torna giù». È lì che comincia questa storia.
La canzone risale agli anni Novanta, ben prima di Io uccido, ben prima di tutto. La piuma non era stata pensata come commiato, non era nata per essere un messaggio in bottiglia da affidare alle onde del mare con consegna postuma, non voleva né doveva essere un addio. Ma il caso ha disposto altrimenti. La piuma è diventata un addio preterintenzionale (se così si può dire).
Eppure non ci poteva essere uscita di scena più giusta. Le ultime parole di Faletti sono le parole di una favola e contengono una morale, leggera come il vento che soffia in tutto il racconto. Faletti, che sapeva raccontare storie assai truci, era nella vita un ragazzo gentile, quasi settecentesco nel modo di fare. Mina, nel suo necrologio, ha detto che era una persona «garbata». Il garbo di chi lascia come eredità una favola scritta nel cielo da una piuma in un linguaggio arcano ed elegantissimo (un «invisibile sanscrito»). Perché la piuma di Faletti è una penna. Una penna come quelle delle aquile albine e delle fenici. Ma anche una penna come quella degli scrittori. Il testamento di Faletti è un elogio della fantasia.
L’autore
Giorgio Faletti (Asti 1950 — Torino 2014) è stato attore, compositore, cantante e comico. Ha esordito nella narrativa con
(Baldini & Castoldi, 1992)
La storia doveva diventare un musical. Ricorda la moglie Roberta che certi giorni il ticchettio della tastiera si alternava alle note prodotte dal pianoforte
esce venerdì 15 da Baldini & Castoldi (tavole di Paolo Fresu, pp. 96, 13).
Presentazione sabato 16 (Sala Gialla, ore 18) al Salone di Torino con Roberta Bellesini Faletti e Antonio D’Orrico; leggono Euridice Axen e Sebastiano Filocamo, al pianoforte Cesare Picco