Corriere della Sera

Il Festival dei fratelli (registi) «Giriamo una scena ciascuno»

Dai Coen ai Taviani, gli eredi dei Lumière: domenica la celebrazio­ne

- Valerio Cappelli

Verrà presentato sabato al Festival, Fuori Concorso, Amy, il film dedicato a Amy Winehouse, la tormentata cantante inglese morta nel 2011 a soli 27 anni. Due anni dopo l’uscita nelle sale di Senna, il regista inglese Asif Kapadia torna dunque a raccontare la storia di un’icona contempora­nea, usando anche immagini e filmati d’archivio sull’artista per indagare gli aspetti meno noti della sua vita. Dopo la presentazi­one, il film arriverà in Italia il 15, 16 e 17 settembre per celebrare quello che sarebbe stato il compleanno della cantante, nata il 14 settembre del 1983. Le prevendite italiane apriranno proprio in occasione della presentazi­one al festival. Da oggi fino al 24 maggio il canale Sky Cinema Cult rende omaggio alla 68a edizione del Festival proponendo un ciclo dei film premiati nelle edizioni precedenti della kermesse. La programmaz­ione speciale riguarderà la prima e seconda serata del canale fino a sabato 23 maggio, cui seguirà una maratona di film domenica 24 maggio, fino alle 19.15. Aprono il ciclo i fratelli Coen, presidenti della Giuria di quest’anno, con Il Grinta cui seguirà il film vincitore dell’Oscar 2008 Non è un paese per vecchi. Domani invece, in prima serata, la Palma d’oro del 1986, Mission con Robert De Niro e Jeremy Irons e subito dopo Pulp Fiction, che vinse la Palma nel 1994. e diversi come temperamen­to. Zavattini scriveva e De Sica girava. Una volta ci disse: quando al bar prendi il cappuccino, non sai dove comincia il caffè e dove finisce il latte. Perciò, se vi piace, bevetelo e non rompete le scatole».

Il padre era avvocato antifascis­ta del CNL, considerav­a il cinema un’\attività secondaria. «Per lui il cinema erano gli attori, non i registi, era Greta Garbo, era Marlon Brando. Lo spingemmo a vedere Ladri di biciclette, tornò e esclamò: “Ho capito cosa dite”. La nostra passione scoppiò dopo aver visto Paisà a Pisa, dove eravamo sfollati. Se questo linguaggio ha una forza tale nelle viscere, il nostro parlare è il cinema, ecco cosa ci promettemm­o». Coppie / 1 A sinistra i registi italiani Paolo (83 anni) e Vittorio (85) Taviani; a fianco i francesi Louis (1864–1948) e Auguste (1862–1954) Lumière Coppie /2 In alto, i registi americani Joel (60 anni) ed Ethan (57) Coen che sono al Festival di Cannes in qualità di presidenti della giuria. Qui sopra, i belgi Luc (61) e Jean-Pierre (64) Dardenne, premiati due volte con la Palma d’oro

I Taviani hanno vinto in tutti i festival. A Venezia il Leone d’oro alla carriera… «E va bene così. Ma è un rapporto agrodolce. Per Sotto il segno dello scorpione, c’era il ’68 e decidemmo di mandare il film ma noi restammo a casa, lo stesso fece Pasolini. Accendemmo la tv e Lello Bersani, il cronista, esclamò: “Hanno fatto bene i Taviani a non venire, si sono risparmiat­i i fischi”. Nostro padre era accanto a noi, una vergogna... A un altro film, Il prato, il Manifesto titolò: “Il festival è decollato ma è atterrato rovinosame­nte sul prato”. Berlino è energetico, giovane, ribelle, mentre Cannes è un luogo accoglient­e e caldo. Dopo la vittoria con Padre padrone, La notte di San Lorenzo ebbe solo una menzione speciale, però corrispond­e alla Palma d’oro, così fu detto. Il presidente del festival per rincuorarc­i ci confidò che a capo della giuria c’era Giorgio Strehler, non poteva sapere che eravamo reduci da una incomprens­ione, perché Michele Placido aveva recitato per noi quando doveva lavorare per lui. “Rimandatem­elo indietro!”, ci urlò al telefono».

Secondo la leggenda, avete detto: se in dieci anni non riusciamo a fare il cinema che vogliamo, ci ammazziamo. «La leggenda è vera. Quel patto ci diede sicurezza, lo confidammo solo alla governante, che era scettica. Capimmo che per fare cinema bisognava partire per Roma, eravamo disposti a tutto, anche al lato oscuro di questa battuta. Per i Caroselli che girammo? No, quella anzi fu un’esperienza bellissima, finalmente i soldi c’erano e potevamo sbizzarrir­ci. La pubblicità ci diede la possibilit­à di fare i nostri film. No, ci riferiamo a certe strane cambiali che firmammo. Ricordiamo cene in cui uno mangiava il primo e l’altro il secondo».

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