Corriere della Sera

RITRATTO DI CITTÀ RISCOPRE LA SUA ARTE VIAGGIO TRA I GRANDI NEL RACCONTO DELLA

Nelle sale dell’Accademia, riaperta dopo sette anni di restauri, una collezione di dal Quattrocen­to all’Ottocento mette in luce non solo l’importanza della scuola pittorica locale ma anche la ricchezza delle BERGAMO MAESTRI CARRARA

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La facciata primo ottocentes­ca ricorda due braccia aperte che invitano a entrare. L’atrio, poi una rampa di scale e ci si trova in una scintillan­te Commedia dantesca: volti, persone, smorfie, ritratti austeri, Madonne, Cristi in croce, fondi oro e sculture lacrimanti. Tutti dialogano con tutti, in un lungo racconto di nobiltà alternata a miserie, devozioni miste a stupore enigmatico moderno.

La bellezza dell’Accademia Carrara, tornata ai bergamasch­i dopo sette anni di restauri, è chiusa in questa narrazione intelligen­te di 600 opere diverse per epoca e stile, però qui contigue. Colloquian­ti. Forse le immaginava così il conte Giacomo Carrara (1714-1796), una vita trascorsa a dare la caccia alle madonne quattrocen­tesche. Fu lui a donare la ricca collezione a una istituzion­e che poi accolse anche i lasciti di Lochis, Morelli e infine di Federico Zeri. Ricostruen­do, luce dopo luce, drappo dopo drappo, una geografia compiuta dell’arte (soprattutt­o pittorica) italiana, dal 1.400 all’alba del Novecento.

Prima sala. Subito il Quattrocen­to, con il suo fulcro a Padova, dove Donatello detta legge. Guardate la Madonna con Bambino di Andrea Mantegna e quella malinconia dipinta (velature su tela di lino, la tecnica che del padovano fu la firma) sul piccolo che riporta saldamente le figure nel rigore spaziale, compensand­o i toni fiabeschi del mondo cortese.

Ma c’è poco da fare e a guidare la danza è Pisanello: il Trecento si sente ancora nel Ritratto di profilo di Lionello d’Este, come a ricordare che il Medioevo è un collante tra le varie

Luce Carlo Crivelli, «Madonna col Bambino», 1482-1483 scuole che si stanno per moltiplica­re nell’Italia centro settentrio­nale. Bergamo e Brescia sono ancora nell’orbita di Venezia, dove Carpaccio (qui godetevi la Nascita di Maria) non aveva ancora scelto il buen retiro dopo essere stato stregato da Giorgione. Però presto arriverà Lorenzo Lotto, inquieto e deciso a difendere il suo tratto realistico e mai compiacent­e.

Ma senza fretta: la quarta sala ci spiazza con lo splendore della Madonna dell’Umiltà di Benozzo Gozzoli e, più avanti, la dolcezza del san Sebastiano di Raffaello, così poco ferito, così lontano dalla morte che coglierà il divino fanciullo urbinate a 37 anni. La luce. Il disegno (tipico della scuola toscana) che presto andrà a fare i conti con il tonalismo veneto.

Botticelli troneggia nella quarta sala con la struggente Storia di Virginia Romana, ferita a morte dal padre per evitarle il disonore. Piani giustappos­ti, maestosi, modernissi­mi. Ma tra Quattro e Cinquecent­o, c’è un altro maestro che a Venezia opera una silenziosa rivoluzion­e: Giovanni Bellini, meraviglio­so regista delle sacre conversazi­oni a mezzobusto dove lo sfondo non è più un colonnato da sacrestia, bensì compare la nebbia delle vallate venete, sfumate — Leonardo, ricordiamo­celo, a fine Quattrocen­to studiava anche le condense.

Dalla scuola di Bellini arriverà Andrea Previtali da Brembate di Sopra, con questa Sacra Conversazi­one orizzontal­e che qui sembra un suggello: la pittura bergamasca e bresciana ha radici precise, con addentella­ti forestieri, spinte controrifo­rmistiche, stretta osservazio­ne della realtà. Si guardi anche il Cristo Redentore con la Croce del bergamasco Cariani: ricorda le figure a mezzobusto di Antonello da Messina e anche qui le opere tornano a conversare. Questo quadro infatti appartenev­a a Lucina Brembati, ritratta, poco più là, da Lorenzo Lotto. Si ciacola, insomma, come in una provincia dove tutti si conoscono e si riconoscon­o.

Ma soprattutt­o si fanno ritrarre. Sarà proprio il ritratto, realistico o psicologic­o, beffardo o serioso, a mappare la scuola bergamasca. Si pensi a Giovan Battista Moroni (15221579) che diede spessore e tensione al sarto così come ai vecchi o alle nobildonne. La tradizione ritrattist­ica che fiorì a Bergamo a partire dal Seicento è alimentata da più fuochi: una nobiltà ricca e alacre, generazion­i di notabili che amministra­vano terreni, le genti del clero. Tutto combaciava a creare uno spirito della memoria che trovò nel ritratto (austero come in Moroni o grottesco come in Fra’ Galgario) un formidabil­e strumento di racconto umano. La città si metteva in posa, mentre, dal Seicento inoltrato, Evaristo Baschenis deciderà di ritrarre «volti» diversi: frutta, verdura e strumenti musicali, con il medesimo senso realistico della grandeur.

Si arriva all’Ottocento e alla pittura di storia e letteratur­a, alle umili ragazze di Pellizza da Volpedo, immortalat­e in una strana estasi angosciata. Ma le donne con il naso storto di Piccio e le vedove di Fra’ Galgario continuano a intrecciar­e fitti soliloqui che si intersecan­o nel cuore della città. Città che, poco alla volta, torna ad ambizioni antiche. Anche con l’arte.

Vite per immagini Le correnti artistiche qui si alternano per formare un affresco sociale e culturale Alla Gamec le donne di Palma

Di fronte alla Carrara, c’è la GAMeC, la Galleria d’arte Moderna e Contempora­nea che, fino al 21 giugno, ospita la mostra «Palma il Vecchio. lo sguardo della bellezza», in una ideale continuità nella ricerca delle radici artistiche di Bergamo con la rinata Accademia. Entrambe le istituzion­i formano un polo dell’arte sostenuto da Comune di Bergamo e Credito Bergamasco. Maria Cristina Rodeschini è responsabi­le di entrambe. Tra i lavori esposti, anche (foto), del 1518

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