Corriere della Sera

L’amore per il vero (e per i ragazzi) Fra’ Galgario, talento e nostalgia

- Di Giovanni Montanaro

solo un ragazzo, i tratti morbidi, lo sguardo furbo. La camicia è gonfia, le maniche sono rimboccate, i pantaloni cascano. I vestiti sono più grandi di lui, e anche l’espression­e del viso. È il 1732.

Fra’ Vittore Ghislandi lo fa posare, in mano la cannuccia con il gesso, esplode di colori, bianco, rosso, marrone. È un pittore da giovane. Vittore, invece, ormai è vecchio, e si rivede com’era. È nato a Bergamo nel 1655, figlio di pittore, battezzato come Giuseppe. A Venezia, che era ancora capitale di Bergamo, diventa Vittore, prendendo i voti al convento di San Francesco di Paola, dove si era allontanat­o per un amore femminile inviso alla famiglia e forse unico nella vita. È stato a scuola da Bombelli in laguna e da Adler a Milano, i migliori ritrattist­i dell’epoca. Dall’inizio del Settecento, è di nuovo a Bergamo, nel convento del Galgario, da cui il nome di Fra’ Galgario. Vive come un laico, in realtà, e il suo atelier, vicino alle celle e al refettorio, è un andirivien­i di uomini e donne.

E ragazzi. Fra’ Galgario ha un segreto, le lacche che realizza lui stesso, con procedimen­ti che non si sono ancora capiti del tutto, danno colori che nessun altro sa fare, toni caldi e freddi insieme, scintillan­ti e materici. Ma non è solo quello.

È che lui sa cos’è un’anima; carica e adula, gonfia e ingentilis­ce, ma è tutto vero quel che dipinge. Di lui si conservano decine e decine di ritratti; forse, non è un caso se la sua scarsa pittura devozional­e e decoscegli­e rativa è tutta scomparsa. C’è il conte Secco Suardo senior con il panciotto giallo e il conte junior con un servitore rozzo, minaccioso, il serio avvocato Bettami de’ Bazini, e poi Francesco Bruntino, ricco mercante di umili origini, corrucciat­o e con una meraviglio­sa giacca rossa, e il conte Giacomo Carrara ritratto come se stesse abbottonan­dosi, con lo sguardo di chi non sa che anche da quel ritratto comincerà la sua collezione.

Poi ci sono le donne, l’anziana e la nobildonna, con meno bellezza, forse perché il genere non lo faceva più impazzire. È come se avesse ritratto chiunque, Fra’ Galgario, come se ogni volto meritasse di restare, di essere raccontato. È il 1732, e Galgario decide di dipingersi. Si fa com’è, grasso, gli occhi tondi paiono chiari, fermi ma forse smarriti. Sullo sfondo, Sguardi Ritratto di Francesco Maria Bruntino, di Fra’ Galgario, 1737. Sopra, lo scrittore Giovanni Montanaro, nato nel 1983 un quadro che sembra proprio il ragazzo pittore. È bello pensare che decida di ritrarsi per mostrare di nuovo il ritratto di qualcun altro.

Di quel ragazzo lì. La sua bottega è piena di giovani. Vengono a imparare il mestiere, ma, soprattutt­o, a fare scherzi atroci a questo vecchio che pende dalla loro bellezza. Forse, è solo che vanno di moda, si vendono bene. Più probabilme­nte, più dolcemente, è che gli piacciono

I toni caldi e materici vengono dalle lacche che lui si fabbricava da solo Dipinse lo stesso giovane, da quando era bambino fino ai vent’anni

da matti, quelle figure maschili appena sbocciate, è un desiderio, vissuto, represso che sia, è gigantesco. Lui si diverte a rivestirli, ad acconciarl­i, le labbra quasi dipinte e quegli sguardi, sospesi tra il puro e il perduto. La tradizione vuole che il modello preferito, ripetuto ossessivam­ente, tanto da non sapere esattament­e in quali quadri sia lui o qualcun altro, fosse il Cerighetto, il chierichet­to. Ritratto da quando era un bambino fino ai vent’anni in cui, troppo presto, morì. E forse è solo una suggestion­e, ma mi pare che Fra’ Galgario continui a dipingerlo anche quando non c’è più. Sono gli ultimi anni della sua vita.

Non usa più la tavolozza; un tremito delle mani lo costringe a usare le dita. Ma è tutta la vita che è scossa da quella morte insaziabil­e. E così, pare che dentro ai volti che dipinge ci sia meno scherzo, meno forza, ma una dolcezza e un dolore improvviso, una grazia che forse appartengo­no a quella creatura perduta, che ritorna nei volti degli altri, perché, in fondo, si crea sempre qualcosa che si è, che si ama o si cerca.

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