Corriere della Sera

Quella dama benestante di Lotto icona dei volti «acqua e sapone»

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La gaffe

Il «Ritratto di Lucina Brembati» (1518 circa) a opera di Lorenzo Lotto. Il dettaglio più curioso è quel pendaglio a uncino, un gioiello stuzzicade­nti molto alla moda all’epoca finché Monsignor della Casa, autore del Galateo, non ne decretò la sconvenien­za in uno dei suoi scritti a disagio con tutti, ansioso, melanconic­o, ipersensib­ile, pessimista, appassiona­to di enigmi e alchimia, ritrattist­a di Lutero, eppure al servizio fino ai suoi ultimi giorni dei Domenicani, i guardiani dell’ortodossia contro le eresie.

Fu uno dei più illustri pittori veneziani e tuttavia non trovò mai fortuna nella sua città. Ostinato nel suo linguaggio privo di adulazione e retorica e più incline a uno stile arcaicizza­nte, senza monumental­ità e misura classica, fu sbaragliat­o dal successo di Tiziano, il quale sapeva invece come lusingare i suoi committent­i con magnifici ritratti.

Al contrario, la sincerità caratteria­le del Lotto gli impediva di idealizzar­e i volti dei clienti così che le sue donne non hanno mai la bellezza sfrontata e la sensualità di quelle di Tiziano, ma appaiono tutte un po’ bruttine, come erano nella realtà.

Lorenzo Lotto quindi fu costretto a lasciare Venezia e a esportare il suo «sermo humilis» in giro per l’Italia peregrinan­do fra Treviso, Bergamo e le Marche. La provincia e la borghesia si attagliava­no al suo carattere più dell’aristocraz­ia e dello spirito pagano della Chiesa di potere.

Nemmeno in Vaticano ci fu posto per Lotto. I suoi affreschi furono cancellati da Raffaello i suoi giorni melanconic­i finirono nel santuario di Loreto dove Lotto prese, alla fine, i voti come oblato.

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