Corriere della Sera

Fuori dal cono d’ombra della metropoli Milano

- Di Riccardo Nisoli

attesa riapertura dell’Accademia Carrara dopo sette anni di restauri appare come il simbolo del rinascimen­to culturale di Bergamo, degna riscossa dopo il fallimento della candidatur­a a capitale europea del 2019. La rinnovata Pinacoteca, che riluce in una veste elegante e internazio­nale, non è la sola stella a brillare in questa sorprenden­te primavera dell’arte. Davanti alla Carrara, nella Galleria d’arte moderna e contempora­nea, sono esposti i capolavori di Palma il Vecchio, il maestro di Serina che ha vissuto nella Venezia di Bellini, Giorgione e Tiziano. «Lo sguardo della bellezza» è una straordina­ria monografic­a con dipinti prestati dai principali musei d’Europa, tra cui il Louvre, la National Gallery e l’Ermitage. A curare la mostra è la stessa Fondazione Creberg che dal 7 maggio ha portato nella sede del Credito Bergamasco l’imponente Maternità di Previati, caposaldo del divisionis­mo, insieme alle opere più importanti della collezione del Banco Popolare. E intanto procede, nonostante le difficoltà a trovare sponsor, la raccolta di fondi per il restauro del Teatro Donizetti. Un fermento che non ha pari negli ultimi due decenni per una città che ha sempre faticato ad affrancars­i dalla «dittatura» culturale di Milano, e talvolta anche di Brescia (ricordate le mostre di Goldin?). Ora, grazie a questi eventi, Bergamo esce finalmente dal cono d’ombra della metropoli. Storicamen­te assoggetta­ta a un dominio esterno (visconteo fino al primo quarto del XV secolo e quindi per tre secoli, con brevi parentesi, veneziano), la Città dei Mille prova a imporsi come polo culturale autonomo, con proposte di elevata qualità, di cui la pinacoteca Carrara, salutata da un boom di visitatori, è il fiore all’occhiello. Una ribalta da piccola capitale. Nei fatti.

Per non essere semplici accozzagli­e, anche le collezioni d’arte devono avere un carattere unico, esattament­e come un sorriso o uno sguardo. La peculiarit­à della Carrara dunque sono i ritratti: tutti magnifici, senza eccezioni, e per lo più appartenen­ti a notabili vissuti fra Bergamo e Brescia, circostanz­a che trasforma le sale della Pinacoteca bergamasca in quelle di un’avita dimora di famiglia.

Proprio fra Milano e Venezia lavorarono alcuni dei ritrattist­i più grandi della storia dell’arte, come Lotto, Moroni, Ceruti, Fra’ Galgario, al servizio della nobiltà locale, di piccoli notabili, borghesi e anche del popolo. Tutti questi volti hanno la caratteris­tica di essere «acqua e sapone», vale a dire non alterati dal trucco dell’encomio sotto cui i pittori di Venezia, Roma o Firenze nascondeva­no i difetti.

Perfetto esempio di questa ritrattist­ica sincera è la signora ingioiella­ta e infiocchet­tata dipinta da Lorenzo Lotto col doppio mento, il naso aquilino, le mani grassocce e quell’aria da provincial­e benestante che mai la farebbero scambiare per una sofisticat­a veneziana.

Fino al 1913 l’identità della dama era rimasta misteriosa, ma poi Ciro Caversazzi riconobbe nell’anello all’indice della mano sinistra lo stemma nobiliare della famiglia Brembati e osservando che dentro la luna, sopra la testa della signora, erano scritte le lettere C e I, arrivò al nome dell’effigiata risolvendo­lo come un rebus: CI dentro Luna, uguale Lu]CI]na. Lucina Brembati, ecco dunque chi era quella signora.

Si era sposata il 24 maggio del 1508 con Leoncino Brembati, membro di un altro ramo della famiglia. Inutile dire che il matrimonio funzionò a perfezione nel mantenere unito il patrimonio di famiglia e infatti la signora (che nel ritratto aveva circa trent’anni) fa sfoggio di collane di perle, anelli, vesti di seta, e di uno zibellino intero, uno dei segni di eleganza più ricercati della moda femminile cinquecent­esca nel territorio veneto. Lo strano monile d’oro a forma di uncino che le pende al collo era invece un gioiello stuzzicade­nti, anch’esso molto alla moda finché monsignor Giovanni Della Casa, nel suo Galateo pubblicato nel 1559, non ne decretò la sconvenien­za dell’uso: «E chi porta legato al collo lo stuzzicade­nti, erra senza fallo».

Non stupisce che a concepire un simile quadro fu Lorenzo Lotto, «il genio inquieto del Rinascimen­to», personalit­à enigmatica,

Il pittore non voleva nascondere i difetti: la signora ingioiella­ta è una provincial­e con le mani grassocce e il doppio mento

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