I tempi californiani e quelli siciliani
Un giorno di ritardo! Erano seccati, il governatore George Deukmejian e le altre autorità californiane, per il ritardo nella ricostruzione della gigantesca arcata del Bay Bridge crollata nel terremoto del 7° grado della scala Richter che il 17 ottobre 1989 aveva devastato San Francisco e ucciso sessantasei persone. Certo, il danno era stato enorme. Il ponte di 14 chilometri che dal lontano 1936 collega la metropoli a Oakland ed era percorso ogni giorno da trecentomila macchine e camion, si era spezzato. E un’intera arcata della carreggiata superiore si era abbattuta su quella sottostante. In un altro Paese avrebbero impiegato anni, per restituire il ponte ai cittadini. Tanto più che i piloni che sorreggevano l’arcata si erano spostati per lo strappo di 17 centimetri ed era stato necessario inventarsi un’apparecchiatura di forza ciclopica che li riportasse alla situazione precedente. L’arcata crollata era stata tagliata a pezzi e calata su chiatte per la rimozione e infine sostituita con una nuova di zecca. Insomma, lo sforzo era stato spropositato. Eppure, il governatore si scusò (si scusò!) per lo slittamento dell’apertura da venerdì 17 a sabato 18 novembre: colpa di due notti di nebbia e di umidità che avevano rallentato i lavori di tinteggiatura del manufatto. Gli abitanti di San Francisco «perdonarono» il ritardo. E accorsero in 40mila a festeggiare la riapertura. Un mese e un giorno dopo il crollo. Un mese!
Mette quindi una gran malinconia leggere sulle pagine palermitane di Repubblica la cronaca di Antonio Fraschilla che racconta come un mese dopo il crollo del viadotto Himera, sulla Palermo-Catania, non è ancora apparsa sul posto una sola ruspa. Zero. Nonostante il ministro Graziano Delrio, il 15 aprile scorso, avesse assicurato che il ponte sarebbe stato ricostruito «in due anni» (qualcuno, prima, aveva già ipotizzato un decennio) e una bretella provvisoria per alleviare i disagi di chi oggi impiega 4 ore per andare da una città all’altra sarebbe stata fatta «nel giro di tre mesi».
Tre mesi? Magari! Uno se n’è già andato in una miriade di pastoie burocratiche. Dietro le quali si è acceso uno scontro. Di qua il governo convinto che il viadotto possa essere ricostruito, come accade a prezzi europei, con una trentina di milioni. Di là le autorità siciliane convinte, sulla base delle loro relazioni tecniche, che ne occorrano subito almeno 200. Cioè sette volte di più. Sperando che bastino… Per carità, non è facile capire chi ha ragione e chi torto. Ma che invidia, per i californiani…