Corriere della Sera

Formolo, matricola irriverent­e Il Giro battezza la sua Roccia

Bel colpo del debuttante: «Ho vinto la tappa perché corro senza pressioni»

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Gaia Piccardi

Solitario Davide Formolo, 22 anni, supera a braccia alzate il traguardo di La Spezia. Sullo sfondo, gli avversari staccati di una ventina di secondi (LaPresse)

Con una fuga di trenta uomini al Colle di Velva che si sfilaccia per strada, e con il gruppo che insegue (9’ il distacco massimo) scosso da scariche isteriche di elettricit­à, da Chiavari alle Cinque Terre non è più una corsa. È uno spezzatino. Gente che va, la maglia rosa che arranca (Matthews, cotto, rischia di sforare il tempo massimo), la Tinkoff che si spolmona in un eccesso di zelo (Basso, uomo di fiducia di Contador, arriva dopo la musica), privo di costrutto e senso. Chi ci capisce qualcosa, è bravo.

Poi arriva lui, il bocia di Marano di Valpolicel­la messo in bici (una Fontana rossa di seconda mano) a 6 anni da papà Livio tra le vigne, anima lunga senza un pelo sulle guance con il coppino roso dal sole di 13 km di fuga solitaria. Si chiama Davide Formolo, ha 22 anni, tratta il Giro come il suo parco giochi personale. Vince la quarta tappa annichilen­do dinosauri (Paolini, Petacchi), caprioli (Uran: ma dove va, senza squadra?) e mezzo mondo. Parte ai piedi della Biassa, salita breve ma intensa (3,4 km all’8,9%), piomba su La Spezia scamiciato e naif, buttando il faccino da fumetto oltre il traguardo. Sorride: «Oggi mi sono divertito».

Davide aveva stretto la mano sul podio a Nibali al campionato italiano dell’anno scorso («Un bel ricordo ma passato»), nella nuova Cannondale nata dalle ceneri della Liquigas ha trovato fiducia («Non ho pressioni: quando corri così vengono fuori le cose più belle»), un inglese scolastico ma efficace («Il futuro lo sto imparando: non sono ancora bravissimo...») e strada da mettere sotto le ruote. Di questo scalatore costretto a metter su 5 chili perché da dilettante era troppo magro («Ora sono 1.81 per 65 kg»), innervato di fil di ferro e detto Roccia («Perché non mi arrendo mai»), innamorato prima del ciclismo che della morosa Mirna («Sono fortunato: ho trasformat­o una passione in mestiere e ogni giorno è una nuova emozione»), il c.t. azzurro Cassani dice mirabilia: «Davide è il futuro dell’Italia nelle grandi corse a tappe». Considerat­o che Nibali a luglio difenderà la maglia gialla al Tour e Aru ieri ha dato un brivido a Contador, rimasto solo, per testarne la tenuta nervosa, c’è di che stare allegri.

Se ogni ciclista ha una data di nascita in sella, Davide Formolo è nato ieri nel Golfo dei Poeti, con nel tascapane il diploma di meccanico, un tifo ecumenico per Hellas e Chievo, la musica new metal dei Linkin Park e un potenziale tutto da esplorare: «Quali sono i miei limiti? Non li conosco. Non so neanche come reagirà il mio corpo a tre settimane di corsa. Volevo affrontare tranquillo il mio primo Giro d’Italia, ma poi ho deciso che valeva la pena di spendersi». L’impresa di Davide, nel giorno del salto della maglia rosa dalle spalle di Matthews a quelle di Clarke (sempre aussie di famiglia Orica), ha mascherato la confusione d’idee della Tinkoff e messo in secondo piano la solidità dimostrata dall’Astana. Oggi sull’Abetone, dove nel ’40 un gregario di Bartali, Fausto Coppi, fece la rivoluzion­e, la Roccia potrebbe tentare un secondo golpe felice. «Mah, io ci provo però ho paura che da La Spezia partiremo in tre: io e il mio mal di gambe». E ride, il bocia, matricola irriverent­e.

Clarke in Rosa La maglia rosa, un affare australian­o: da Matthews a Clarke Oggi l’Abetone

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