Corriere della Sera

A 90 all’ora in auto dribblando ciclisti fra tornanti e discese

- Paolo Di Stefano

da uno dei nostri inviati

«Questa strada sembra disegnata da un ubriaco». È l’unica immagine lineare di questa giornata da pazzi. Il resto sono curve, tornanti, gomiti, tortuosità, svolte, zig-zag e archi. Una tappa barocca. Vissuta sull’ammiraglia della Bardiani, la squadra più giovane del Giro, è un’esperienza da ottovolant­e, anche se otto è poco. «Son tappe che selezionan­o più del Mortirolo», dice il team manager Bruno Reverberi, 72 anni guidati pericolosa­mente da 33 Giri. Con una In fuga Edoardo Zardini detto Zardo, 25 anni, ciclista della Bardiani ieri in fuga nella quarta tappa del Giro d’Italia (Liverani) sola mano. L’altra penzola fuori dal finestrino, sbuccia una banana, va a cercare il cellulare caduto sotto il sedile, si agita in aria accompagna­ndo convulsame­nte la parlata emiliana. Il tutto mentre scherza con il motociclis­ta che lo affianca, urla nella ricetrasmi­ttente, risponde gentilment­e al giornalist­a infiltrato, si gira a prendere una borraccia. E guida: frena, accelera, sfreccia via, sgomma sull’asfalto. La minaccia della strage a ogni curva è un pensiero difficile da scacciare, specie quando si sfiorano a tutta ciclisti e moto, spigoli e intonaci, altre ammiraglie o folle festanti. In discesa, poi, la follia si fa delirio gastrico, stomaco che si chiude e schizza in gola, sudore tiepido, gambe che si irrigidisc­ono. Dopo circa 30 chilometri, dalla prima ammiraglia del direttore sportivo Roberto Reverberi, sono passato (quasi al volo) sulla seconda («così vedi meglio la corsa»): è la Skoda del vecchio Bruno, incaricato di stare addosso al «drappello dei fuggitivi», tra i quali ci sono inseriti a sorpresa due corridori Bardiani, Edoardo Zardini detto Zardo e Sonny Colbrelli. A occhio: il figlio cinquanten­ne, che ha la testa di un tenente Kojak, è lo stratega 2.0, freddo, geometrico, essenziale; il padre è il pentolone che ribolle, il «motivatore» della squadra, puro istinto dialettale. La tattica sulle prime sembra funzionare. «Vien bella, oggi! Alé, Zardo, alé!». È più nervosa di ieri, la tappa, su e giù, su e giù senza tregua. Nel caos di curve e strappi, Bruno racconta tranquillo i suoi Giri, gli inizi con la Termolan Galli, mentre sorpassa distrattam­ente auto, biciclette e moto a clacson spianato, patriarca della strada: «I van a dès a l’ora e i tèn tüta la streda! Porco...». Bip. «Basta un niente a far saltare tutto». Non si direbbe, ma si riferisce alla gara. 90 all’ora su strade con il limite a 50. «Zardo, son qua dietro se vuoi dell’acqua». C’è ancora qualche speranza, ma quando fallisce anche il secondo Gran Premio della Montagna, al Passo del Termine, e Zardo perde terreno, è un crescendo di ululati, maledizion­i, bestemmie: «Al dorm in pe’, porco...!» Bip. «Come si fa a lasciarli andar via così, porca...!». Bip. «L’è ignurant, porco...». Bip. «Sonny, te non tirare, sta’ lì a ruota!». Il guaio è che è rimasto in fuga l’uomo sbagliato: non Zardo lo scalatore, ma Sonny, che non ha la gamba per la montagna. Pugni per aria, monosillab­i che si impennano, ruote che slittano sulla strada di polvere, forsizie gialle che sfrecciano ai lati. Poi, di colpo, la rassegnazi­one di chi ne ha viste troppe: «Passami uno yogurt, va’, ché non ho ancora mangiato niente, tanto il Zardo è là a bagnomaria e tra poco, prima della Spezia, si sfaldano tutti...». L’importante è arrivarci, anche se un po’ sfaldati anche noi.

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