Visti dalla Germania: «Basta pregiudizi Avete ottimi autori E l’Expo funziona»
«I tedeschi continuano ad amare l’Italia, ma trovano sempre più difficile comprenderla» dice Giovanni Di Lorenzo, 56 anni, dal 2004 direttore del settimanale «Die Zeit». È toccato a lui il discorso di inaugurazione del Salone, come rappresentante del Paese ospite, appunto la Germania. Che è arrivata in forze a Torino, con 25 autori presenti, 43 case editrici rappresentate (fra cui colossi come Random House, Rowohlt, Suhrkamp), in un programma di incontri organizzato e curato dal Goethe Institut e coordinato dalla perfetta macchina della Buchmesse di Francoforte guidata dal suo direttore Jürgen Boos, presente a Torino in questi giorni.
Figlio di padre italiano e madre tedesca, giornalista, Di Lorenzo non ha mai voluto fare il corrispondente dall’Italia. «Non mi piacevano gli stereotipi dei giornalisti che volevano spiegare l’Italia ai tedeschi. Come quando, nel 2013, Dirk Schümer sulla “Faz” pubblicava un articolo intitolato “Italia, un Paese senza futuro”. Certo, siamo tutti rimasti scioccati dai governi Berlusconi, ma oggi qualcosa in Italia si sta muovendo. In Germania non ci accorgiamo che anche da voi si sta facendo qualcosa per moralizzare la politica, come la nomina di Raffaele Cantone a presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Certo, sui giornali tedeschi si leggono ancora giudizi di questo tipo: “In Germania basta un nonnulla per far dimettere un politico, in Italia non ci si dimette per nulla”. In Germania si sono dimessi ministri, perfino il presidente della Repubblica Christian Wulff, per una fattura di 70 euro! Però anche in Italia qualcosa cambia». E la cultura ne dà il segnale, per Di Lorenzo: «A Cannes ci sono tre film italiani in concorso e nessuno tedesco. La serie tv Gomorra è stata molto apprezzata in Germania, e alla Berlinale i primi due episodi di 1992 sono stati accolti con grande interesse. Ci sono scrittori italiani che mi piacerebbe fossero tradotti in tedesco, non solo i gialli. Penso a Pennacchi, Piccolo, Ammaniti. Ma fortunatamente i tedeschi hanno potuto apprezzare i romanzi di Paolo Giordano e di Silvia Avallone. Ecco, questi sono i piccoli miracoli italiani, su cui richiamo l’attenzione. Come sull’apertura dell’Expo: nessuno ci credeva più, per i ritardi nei lavori e i casi di corruzione. E invece, in una settimana, tutto è stato completato. Tanto che oggi, anche per i più scettici, l’Italia vale come modello per i mega-eventi. Qualcosa su cui noi tedeschi dovremmo riflettere, noi che per uno stereotipo siamo considerati efficienti e puntuali. E invece no: gli esempi di grandi opere ancora lontane dalla realizzazione è impressionante. Cito il nuovo aeroporto di Berlino, la Philarmonie di Amburgo, la nuova Staatsoper di Berlino, la stazione ferroviaria di Stoccarda, tutte ancora in alto mare con un aumento di costi impressionante».
La massiccia presenza tedesca significa anche un ritrovato interesse per i libri italiani. Nel 2014, ne erano stati acquistati 328. Con ogni probabilità il numero è destinato ad aumentare. Per esempio, fanno notare allo stand tedesco, c’è stata un’asta per la tetralogia della Ferrante
«I tedeschi continuano ad amare l’Italia, ma non la comprendono. Non bisogna tradurre solamente i gialli»
e, benché due grossi gruppi abbiano offerto di più, «ho scelto di cedere i diritti a Suhrkamp — afferma l’editore Sandro Ferri — perché indipendente».
Certo, per ora sono i noir italiani a vendere meglio (Rowohlt ha appena pubblicato la traduzione de Il caso Blamard di Davide Longo), ma non solo: è proprio di questi giorni l’uscita da Antje Kunstmann Verlag della traduzione di Confessioni di un trafficante di uomini di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, inchiesta-reportage sul business del trasporto di clandestini verso le coste italiane. E sono stati accolti con grande interesse i libri di Roberto Saviano, o l’indagine sulla finanza vaticana ( Vaticano Spa) di Gianluigi Nuzzi.
L’Italia che si muove, che può farcela, per Di Lorenzo ha un nome: Matteo Renzi. «Per i non italiani, Renzi è una speranza. Perché, se Renzi fallisce, non c’è nessuna garanzia che in Italia ci sia ancora un partito sinceramente pro-Europa».