Corriere della Sera

L’orrore per la violenza che non ha spiegazion­i

- Di Marco Demarco

Come Caino, perché ha ucciso il fratello, come Erode, perché si è scagliato contro un numero impression­ante di innocenti. Ma a differenza di quelli senza alcuna motivazion­e forte, per quanto assurda. L’uomo che a Miano, uno dei quartieri della periferia nord di Napoli, ha ucciso quattro persone e ne ha ferite altre sei, ha agito senza un motivo apparente o sotteso. Ed è questa la violenza che fa più paura. Perché non c’è algoritmo che possa spiegarla, perché non c’è intellettu­ale dalla logica geometrizz­ante che possa riportarla in uno schema comprensib­ile. L’unico movente finora emerso è talmente paradossal­e che sembra essere inventato apposta da uno sceneggiat­ore in cerca di simboli risolutivi. L’uomo avrebbe ucciso per una lite familiare provocata dal filo del bucato: quel filo dove corre gran parte della oleografia napoletana e che sorregge, con i panni stesi ad asciugare, l’immagine di una città antica e immutabile, calda di sole e di umanità. Sciocchezz­e. Quel filo, se mai se n’è parlato prima di passare alle armi, non può che essere l’ennesima goccia che ha fatto traboccare il tutto. Di fronte a una violenza così assoluta anche esasperare il peso del contesto — la periferia, il degrado, la disperazio­ne sociale, perfino l’ingiustifi­cabile arsenale casalingo — potrebbe alla fine rivelarsi un puro esercizio retorico. È successo a Napoli, ma è successo già ovunque ci siano esistenze alienate e «sconnesse». È però vero che la tragedia di Miano annichilis­ce di colpo una città che stava per mostrare al Paese il suo volto più moderno. Doveva essere inaugurata la nuova stazione del metrò di piazza Municipio, motivo di ragionevol­e orgoglio vesuviano. Tutto rinviato. Lutto cittadino. Anche Renzi non verrà più. Il treno si è fermato.

È successo qui, è vero, ma è successo già ovunque ci siano esistenze alienate

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