L’orrore per la violenza che non ha spiegazioni
Come Caino, perché ha ucciso il fratello, come Erode, perché si è scagliato contro un numero impressionante di innocenti. Ma a differenza di quelli senza alcuna motivazione forte, per quanto assurda. L’uomo che a Miano, uno dei quartieri della periferia nord di Napoli, ha ucciso quattro persone e ne ha ferite altre sei, ha agito senza un motivo apparente o sotteso. Ed è questa la violenza che fa più paura. Perché non c’è algoritmo che possa spiegarla, perché non c’è intellettuale dalla logica geometrizzante che possa riportarla in uno schema comprensibile. L’unico movente finora emerso è talmente paradossale che sembra essere inventato apposta da uno sceneggiatore in cerca di simboli risolutivi. L’uomo avrebbe ucciso per una lite familiare provocata dal filo del bucato: quel filo dove corre gran parte della oleografia napoletana e che sorregge, con i panni stesi ad asciugare, l’immagine di una città antica e immutabile, calda di sole e di umanità. Sciocchezze. Quel filo, se mai se n’è parlato prima di passare alle armi, non può che essere l’ennesima goccia che ha fatto traboccare il tutto. Di fronte a una violenza così assoluta anche esasperare il peso del contesto — la periferia, il degrado, la disperazione sociale, perfino l’ingiustificabile arsenale casalingo — potrebbe alla fine rivelarsi un puro esercizio retorico. È successo a Napoli, ma è successo già ovunque ci siano esistenze alienate e «sconnesse». È però vero che la tragedia di Miano annichilisce di colpo una città che stava per mostrare al Paese il suo volto più moderno. Doveva essere inaugurata la nuova stazione del metrò di piazza Municipio, motivo di ragionevole orgoglio vesuviano. Tutto rinviato. Lutto cittadino. Anche Renzi non verrà più. Il treno si è fermato.
È successo qui, è vero, ma è successo già ovunque ci siano esistenze alienate