La spinta del Tesoro, i dubbi di Palazzo Chigi
Sotto la lente il rischio ricorsi. La gestione del deficit e il negoziato con Bruxelles
sul quale Padoan aveva già ottenuto in via informale il beneplacito di Bruxelles. In quel Def c’era già il massimo dell’azzardo consentito all’Italia, rappresentato plasticamente da quel «tesoretto» da 1,6 miliardi che Renzi aveva voluto tenersi per animare un po’ la campagna elettorale. Ma soprattutto dal rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016, prescritto dal Fiscal Compact, con il mancato rispetto della «regola del debito», su cui Bruxelles doveva esprimersi cinque giorni dopo la pubblicazione della sentenza.
Tra un Renzi furioso per il brusco cambiamento di clima in fase preelettorale e Bruxelles in fibrillazione per l’ennesima grana dell’Italia, Padoan ha mantenuto la calma cercando una soluzione che salvasse capra e cavoli: usare il «tesoretto», aggiungerci un altro miliardo e mezzo, chiudere la partita al più presto, prima che il quadro generale che oggi ci vede favoriti, tra fattori esogeni e ripartenza del Pil, possa volgere in negativo e rendere tutto circa 3 miliardi di euro sugli 11 necessari per la restituzione di tutti gli arretrati. Non è solo una questione di coperture difficili. Ma anche un tentativo di riequilibrio fra generazioni, visto che gli assegni futuri di chi oggi lavora o ancora studia saranno molto più bassi di quelli attuali. Non a caso anche ieri l’Inps di Tito Boeri ha messo in fila nuovi dati sul peso e sull’equilibrio del sistema pensionistico. Solo per i dipendenti pubblici, nel 2014 gli assegni sono costati 65 miliardi di euro, lo 0,75% in più rispetto all’anno precedente. In media i dipendenti pubblici prendono 1.770 euro, il 72% in più dei lavoratori del privato. Il 96% delle pensioni dei ferrotranvieri, poi, è superiore a quanto dovuto sulla base dei contributi versati, il sistema da usare per le (magre) pensioni del futuro.
lorenzosalvia più difficile. L’obbligo imposto da Bruxelles di utilizzare solo la flessibilità già concessa, offre peraltro al governo una buona motivazione per ridurre al minimo l’importo della restituzione dovuta ai pensionati.
Tutto questo si è tradotto per Padoan in una richiesta pressante di fare presto che si è scontrata con l’esigenza del premier di non dare messaggi negativi in piena campagna elettorale. Il massimo del dramma si è registrato quando qualcuno, a Palazzo Chigi, ha fatto balenare l’idea di rinviare tutto a settembre in sede di legge di Stabilità. Un’ipotesi tramontata: a settembre si regolerà solo la partita degli adeguamenti degli assegni futuri, mentre sugli anni passati s’interverrà ora con decreto. Anche per evitare che la sentenza dispieghi i suoi effetti. Come? Al Mef lo sussurrano: «Se non agissimo presto, qualsiasi pensionato incassando la prima pensione dopo la sentenza della Consulta potrebbe sentirsi in diritto di ricorrere perché la stessa non ha avuto applicazione». Un motivo di più per correre. «L’esercizio è a buon punto — ha dichiarato ieri il capo di gabinetto del Tesoro, Roberto Garofoli a margine di un convegno — e non escludo che nei primissimi giorni della settimana prossima, ci possa essere in Consiglio dei ministri l’intervento normativo». Tradotto: il Mef presenterà il decreto. Poi sarà Renzi a decidere come e quando approvarlo.