La vicenda
I 4 mila passi che separano via XX Settembre, sede del Tesoro, da Palazzo Chigi non sono mai sembrati così faticosi al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La vicenda delle pensioni, con la sentenza della Consulta, esplosa a pochi giorni dall’atteso via libera di Bruxelles sui conti pubblici, sta segnando forse il momento più difficile nel suo rapporto con Matteo Renzi.
Il politico e il tecnico hanno trovato molto presto una modalità di lavoro, la cui chiave è stata la netta suddivisione dei ruoli. Nessuna fuga in avanti da parte di Padoan, sempre intento a tessere in silenzio la tela delle relazioni con l’Unione europea, terreno su cui si muove con scioltezza, forte della sua esperienza e familiarità con i burocrati di Bruxelles. Da parte sua il premier ha riservato per sè (come fa del resto con tutta la squadra di governo) la parte degli annunci politici, cui ha saputo dare, di volta in volta, la veste comunicazionale più accattivante.
È così che dal primo Matteo Renzi a petto in fuori, deciso a superare i vincoli del 3% del rapporto deficit/Pil si è passati a un premier più compassato nelle dichiarazioni ma molto deciso a ottenere dall’Ue l’allentamento dei vincoli di bilancio: uno spartito che Padoan ha suonato, facendo lo slalom tra le norme sulla flessibilità.
Eravamo a questo punto quando la sentenza sulle pensioni ha infranto il delicatissimo equilibrio delineato nel Def (Documento di economia e finanza),
La Corte costituzionale ha bocciato la norma del governo Monti che bloccava la rivalutazione delle pensioni superiori ai 1.500 euro al mese.
Il governo ha annunciato che modificherà il blocco della rivalutazione per rispettare la sentenza. Ma l’operazione sarà fatta minimizzando l’effetto sui conti pubblici.
Restituire tutti gli arretrati a tutti i pensionati costerebbe 11 miliardi di euro. Al momento i miliardi disponibili sono circa 3: saranno privilegiati gli assegni più bassi.